Cultura

Spotify testa la funzione Mashups: opportunità o pericolosa manipolazione?

Spotify nel suo imminente “Music Pro” sta testando funzioni che lasciano davvero un po’ perplessi…

Spotify sta sperimentando una nuova funzione chiamata Mashups, pensata per offrire agli utenti playlist personalizzate in cui vengono combinati (nel vero senso della parola) brani di diversi artisti.

A prima vista, l’idea di combinare brani di artisti diversi, modificarli con filtri basati sull’intelligenza artificiale e persino trasferirli in generi completamente nuovi sembra affascinante, divertente da un certo punto di vista.
Tuttavia, questa tecnologia solleva gravi interrogativi sul diritto d’autore e sulla distribuzione equa dei ricavi.

Cosa sono gli Spotify Mashups

Gli Spotify Mashups sono una funzione in fase di test che permette agli utenti di combinare brani di artisti diversi, modificarli con filtri basati sull’intelligenza artificiale e persino trasformarli in nuovi generi musicali.

Questa tecnologia va oltre le tradizionali playlist personalizzate, consentendo una manipolazione attiva delle tracce originali, che possono essere remixate, riorganizzate o alterate fino a diventare opere “nuove”.
Il tutto avverrebbe all’interno di un nuovo piano premium, chiamato “Music Pro”, che garantirebbe agli utenti l’accesso a strumenti avanzati per la creazione di mashup personalizzati.

Chi possiede i diritti di un mashup creato con l’AI?

Una delle questioni più spinose riguarda la proprietà delle nuove creazioni. Se l’intelligenza artificiale di Spotify modifica un brano al punto da renderlo irriconoscibile rispetto all’originale, chi ne detiene i diritti? Attenzione, perché non si parla di musica creata da zero dalla AI, cosa che ad esempio negli Stati Uniti ha già ricevuto una risposta decisa e importante.

Gli artisti originari riceveranno comunque una quota dei proventi o la piattaforma tratterà questi mashup come opere indipendenti, escludendo i creatori originali dalla ripartizione dei guadagni? E in che modo saranno ripartiti?

Questo punto è particolarmente delicato per gli artisti indipendenti, che spesso non dispongono delle risorse legali per difendere i propri diritti. Se il sistema non garantisce loro una giusta remunerazione, il rischio è che i loro brani vengano sfruttati senza un’adeguata compensazione.

Ultimo ma non ultimo: quando durante la pubblicità ai potenziali nuovi iscritti si parlerà di “catalogo di mille milioni (cit.) di brani”, dovremo considerare nel computo anche queste “opere d’ingegno elettronico”? Perchè in tal modo si può direttamente scrivere che il catalogo tende all’infinito…

Il problema della monetizzazione: chi guadagna davvero?

L’introduzione della funzione Mashups potrebbe modificare gli equilibri economici del settore musicale. Se le nuove creazioni vengono trattate come contenuti originali di Spotify, le royalties potrebbero essere distribuite in modo non equo, lasciando gli autori delle canzoni originali con una percentuale ridotta – o, in alcuni casi, con nulla in mano.

Il problema diventa ancora più evidente nel caso in cui un mashup diventi virale (e i modi sono tanti e vari perché possa succedere, anche in maniera indiretta), generando milioni di ascolti senza riconoscere il giusto compenso agli artisti originali.
Questa situazione potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio: da un lato, la funzione potrebbe aumentare la visibilità degli artisti coinvolti, dall’altro potrebbe ridurre ulteriormente i loro introiti in un settore già criticato per la scarsa equità della ripartizione dei guadagni.

Implicazioni legali: il rischio di aggirare le licenze ufficiali

Un altro nodo cruciale è quello della legalità di questi mashup. Normalmente, chi utilizza campionamenti di brani altrui deve ottenere autorizzazioni specifiche dai detentori dei diritti.
Ma cosa succede se gli utenti di Spotify possono creare e condividere i propri mashup direttamente sulla piattaforma, senza passare attraverso le procedure di licenza tradizionali?

Questo scenario potrebbe portare a una proliferazione di contenuti difficili da controllare, costringendo gli artisti a lunghi e costosi procedimenti legali per difendere il proprio lavoro. Per i musicisti indipendenti, che come già detto spesso non hanno le risorse per affrontare battaglie legali, questo potrebbe rappresentare un ulteriore ostacolo alla sostenibilità della loro carriera.

Divertimento o incubo?

Tolto quindi il velo della componente quasi ludica, se la funzione Mashups dovesse essere implementata su larga scala (per ora è in test su un numero ristretto di utenti), il suo impatto potrebbe cambiare il mercato musicale in modo irreversibile.
La crescente dipendenza dalle creazioni basate sull’intelligenza artificiale potrebbe ridurre il valore delle opere originali, costringendo gli artisti a ripensare completamente il proprio modello di business.

Alcuni musicisti e produttori hanno già espresso il loro malcontento verso le politiche di Spotify. Mentre le grandi etichette stanno puntando su strategie di marketing diretto ai fan (altro probabile tasto dolente), molti artisti indipendenti rischiano di rimanere senza alternative concrete.

L’introduzione dei Mashups ha riacceso il dibattito su copyright, equità nella distribuzione dei guadagni e protezione delle opere creative, temi già al centro di polemiche negli ultimi anni. Se questa funzione verrà lanciata senza un adeguato sistema di tutela per i musicisti, potrebbe trasformarsi in un nuovo punto di rottura tra artisti e industria dello streaming (non chiamatela musicale!).




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