Cingolani: “Dallo spazio alla portaerei volante, il futuro di Leonardo è la sicurezza globale”
Leonardo ha trovato la quadratura del cerchio. L’amministratore delegato Roberto Cingolani presenta il futuro dell’azienda con una geometria finalmente chiara, in cui settori di attività in apparenza molto diversi – dagli aerei ai carri armati fino ai satelliti – diventano declinazioni della capacità di produrre sistemi digitali avanzati, con un’integrazione accelerata dalla competenza nello spazio, nella cyber, nei supercomputer. Una visione globale di sviluppo tecnologico e industriale che sembra avere convinto i mercati.
Oggi ordini e quotazione crescono sulla spinta del riarmo scaturito dalla guerra in Ucraina. Ma quale sarà il futuro di Leonardo?
“Siamo partiti da un’analisi sorprendente della guerra in Ucraina: attacco e difesa digitali sono diventati efficaci quanto e forse più di quelli convenzionali. Droni da poche migliaia di euro guidati dalle comunicazioni satellitari hanno distrutto tank costati parecchi milioni. Ci siamo poi resi conto dell’importanza delle sinergie: l’Europa si è presentata frammentata mentre in questo mercato nessuno ce la fa da solo. La terza considerazione è che quando è scoppiata la guerra, prima ancora di misurarne le drammatiche conseguenze umane, abbiamo vissuto qualcosa che non pensavamo potesse accadere: l’insicurezza globale in campo energetico, alimentare, cibernetico e persino delle infrastrutture. Per questo è indispensabile andare verso un approccio più ampio di sicurezza globale, che – sperando di vedere terminare i conflitti il prima possibile – va portato avanti anche in tempo di pace, che noi chiamiamo “multidominio interoperabile””.
Che cosa vuol dire?
“Abbiamo sfruttato quella che poteva essere una nostra debolezza: Leonardo fa le cose più complesse come aerei ed elicotteri, che sono pure le più costose perché devi investire tanto e i margini di profitto possono risentirne. Ma se l’esigenza attuale è garantire che tutte le piattaforme dialoghino, allora noi produciamo i sistemi spaziali che permettono di supervisionare quello che succede e di garantire le comunicazioni. Abbiamo inoltre la dimensione cyber per proteggere le connessioni; le strumentazioni elettroniche e il supercalcolo, con uno dei computer più potenti al mondo. Oltre Leonardo, quale altra azienda internazionale poteva fare questo discorso globale? In sintesi, Leonardo del futuro sarà un’azienda sempre più internazionale e interconnessa che come prodotto centrale avrà la sicurezza globale. La speranza come cittadino e come padre è che non ci siano guerre: la sicurezza globale va assicurata a prescindere anche in tempo di pace, perché ad esempio la protezione cyber di reti e di dati va garantita sempre. I satelliti permettono il monitoraggio delle infrastrutture, l’agricoltura di precisione, la climatologia avanzata. Questi sistemi danno una sicurezza declinata su tutte le voci: abbiamo messo in piedi una tecnologia che opera su tutti i domini, ossia in terra, in cielo e spazio, nel mare e nel digital continuum”.
La sfida più ambiziosa è il Gcap, Global Combat Air Programme: un caccia stealth di sesta generazione. Neppure gli Usa stanno progettando qualcosa di simile. Quanto sarà impegnativo?
“Si tratta di sviluppare un caccia invisibile ai radar in grado di controllare una flotta di aerei senza pilota. In pratica, sarà una sorta di supercomputer volante: a me piace paragonarlo a una portaerei che sta in cielo. La sfida è veramente impegnativa: abbiamo firmato venerdì l’accordo con la britannica Bae Systems e con la giapponese Mitsubishi per la nascita della joint venture. L’ingresso in servizio è previsto nel 2035. La prima parte del programma finanziata dai tre Paesi per 45 miliardi di euro riguarda l’aereo madre. Nella seconda parte ci sono gli altri due elementi fondamentali. Lo sviluppo dei droni, che sono veri aerei senza pilota da ricognizione, attacco, intercettazione. Stiamo decidendo se questi Adjunt Fighter nasceranno con un modello universale o con tanti progetti già specializzati. Poi c’è lo sviluppo del software di intelligenza artificiale che comanda lo sciame di macchine. Non è escluso che ciascuno dei partner sviluppi la propria Ai. Ma non c’è tempo da perdere perché i progetti vanno realizzati insieme. Indubbiamente il programma Gcap richiede uno sforzo impegnativo. In Europa c’è pure il consorzio Fcas franco-tedesco-spagnolo che si muove su un’idea simile ma appare in ritardo rispetto a noi. E c’è forte interesse nel resto del mondo, con Paesi come l’Arabia Saudita che stanno chiedendo di entrare nel Gcap”.
Quando ci sarà una decisione sui sauditi?
“Adesso avremo alcuni mesi di lavoro per definire i piani dettagliati della joint venture, poi si deciderà sui nuovi partner. Un programma di questo genere ha un costo complessivo di almeno 100 miliardi di euro: ben vengano altri Paesi pronti a contribuire. Con i sauditi esiste un antico rapporto di fiducia nato con l’adozione del Tornado e dell’Eurofighter: hanno voglia di creare un’industria aeronautica, che può legarsi al programma Gcap e metterli al centro del grande mercato mediorientale”.
L’accordo con i tedeschi di Rheinmetall invece vi dà un ruolo leader nei mezzi corazzati. Quanto peserà negli assetti europei della difesa?
“E’ la prima chiara dimostrazione che si può creare uno spazio europeo della difesa a livello industriale, in cui possiamo essere sherpa dei governi. Il punto vincente è la sinergia tecnologica: noi sulla parte digitale siamo utili a Rheinmetall mentre loro hanno un tank allo stato dell’arte, il Panther. E’ il classico caso in cui uno più uno fa tre: non abbiamo soltanto sommato le capacità, c’è stata la tessitura delle nostre rispettive tecnologie. L’Italia deve rinnovare il suo arsenale di terra: serviranno oltre 1200 mezzi corazzati nei prossimi dodici anni, tra carri armati e veicoli trasporto truppe, e le nuove piattaforme saranno le più avanzate. L’Europa in questo segue l’Italia e c’è un gran bisogno di rinnovamento negli eserciti di altri Paesi. L’Ue infatti ha un confine problematico, a contatto con quella che ora è la zona più calda del pianeta: i russi hanno invaso l’Ucraina con migliaia di tank e con amarezza bisogna prendere atto che la situazione è questa”.
Il polo dei mezzi corazzati sarà a la Spezia. Avete problemi a trovare il personale?
“Ne abbiamo un po’ a tutti i livelli, non solo per La Spezia ma pure per gli elicotteri e per tutte le nostre attività industriali. Noi assorbiamo figure Stem – ossia esperte in scienza, tecnologia, ingegneria e matematica – non solo per la manifattura avanzata ma anche per generare l’intelligenza artificiale e il supercalcolo: oggi ad esempio trovare un esperto di Ai è difficile perché la domanda è enorme e l’offerta è quantitativamente insufficiente. E non si può nemmeno andare a cercare dai Paesi vicini perché in Europa il problema ce l’hanno tutti. Quando mi occupavo di scienza prendevo ricercatori dalla Cina o dall’Iran: sulla tecnologia di Leonardo non lo puoi fare per questioni di sicurezza e il vivaio da cui assumere giovani Stem è limitato. A questo vorrei aggiungere che in Italia c’è carenza di manodopera specializzata, tipicamente di periti meccanici ed elettronici per lavorare nelle macchine a controllo numerico o nei materiali avanzati. Ancora una volta questa crescita esponenziale delle tecnologie dimostra che per essere competitivi bisogna fare investimenti in formazione, mentre l’Italia come tutta l’Europa va a rilento su questo fronte. Io ritengo che sarebbe necessario introdurre una prospettiva diversa: oggi non ci sono più la ricerca di base e quella applicata, c’è solo la ricerca buona. Ci dobbiamo rendere conto che non è importante solamente la pubblicazione sulla scienza di frontiera ma che pure la tecnologia dei brevetti ha la stessa dignità per lo sviluppo della società”.
Voi all’inizio del millennio eravate protagonisti nel mercato dei droni con il Falco: oggi Leonardo è ancora nella partita?
“Posso dire senza giri di parole che sui droni abbiamo perso il treno. L’unico modo di superare il gap è fare accordi internazionali che puntino sulle nostre capacità digitali: ci stiamo lavorando intensamente”.
Invece il convertiplano AW 609? C’è grande interesse su questi ibridi tra aereo ed elicottero…
“L’AW 609 è una macchina superinnovativa e siamo in due al mondo a possedere questa tecnologia: Bell per la parte militare e Leonardo per quella civile. Vola alla velocità di un aereo, alla quota di un aereo e decolla come un elicottero ma con un’autonomia di 1500 chilometri impensabile per un elicottero. Il nostro prototipo avrà presto la certificazione civile e poi valuteremo le applicazioni militari. Il fatto è che queste tecnologie sono talmente innovative da richiedere investimenti molto rilevanti: nel corso degli anni hanno superato il miliardo di euro”
Lo spazio è sempre più la nuova frontiera. Con quali prospettive?
“Leonardo non poteva continuare a essere un operatore invisibile, nel senso che le nostre partecipazioni non comparivano nel bilancio. Abbiamo creato una divisione spazio e razionalizzato tutto: ad esempio, Telespazio è stata consolidata rinegoziando gli accordi con Thales. Andremo a intercettare la fetta di mercato più ricca della space economy: il nostro focus saranno i servizi satellitari, end to end, dalla costellazione alla stazione di terra. Con applicazioni che vanno dalla difesa alla geologia, all’agricoltura alla geolocalizzazione: noi possiamo fare tutto grazie alla capacità digitale, come le analisi delle immagini con l’intelligenza artificiale, che ci rende più forti”.
Quali sono le prospettive dell’Europa nella space economy?
“Gli Stati Uniti hanno avuto l’intuizione di non potere andare avanti solo con i finanziamenti istituzionali. Nell’Unione Europea l’80% dei fondi sono statali; negli Usa invece si è creato un meccanismo pubblico-privato, reso possibile dalla presenza di investitori con enormi disponibilità. L’unica strada anche qui è accelerare moltissimo le alleanze europee: noi ci presentiamo con un piano chiaro e tecnologie innovative e quindi in grado di collaborare con chiunque. Lo ripeto: nessuno ce la fa da solo”.
Voi avete una collaborazione con Starlink di Elon Musk, intendete ampliarla?
“Per ora Starlink è un nostro fornitore: per noi è assolutamente normale comprare banda da diverse costellazioni di satelliti. Ovviamente in futuro non escludo altre collaborazioni”.
Leonardo ha uno dei supercomputer più potenti del mondo: che ricadute ha sugli altri settori di attività?
“Serve per tutto quello che ha bisogno di intelligenza artificiale. Noi intendiamo tenere questa macchina sempre allo stato dell’arte perché è un asset straordinariamente importante e abbiamo avviato una trasformazione sui cloud e i data center. Molte cose bollono in pentola. Come la collaborazione con il Piano Strategico Nazionale, quella con Cineca e ci sono progetti internazionali su macchine ad altissime prestazioni in cui Leonardo potrebbe essere coinvolta. Noi sviluppiamo intelligenza pervasiva, ossia che si applica a tutto, e generativa, che impara mentre elabora i dati, ma addirittura generiamo la Ai federativa: tiene silos informativi multidominio separati, rispettando la privacy dei dati di ciascuno pur imparando da tutti. E’ il software più simile a un essere umano”.
Il settore più in difficoltà è quello degli aerei civili, che risente della crisi di Boeing. Cosa farete a Grottaglie e negli altri impianti?
“Ora c’è ottimismo sulla ripresa di Boeing. Ma abbiamo accumulato perdite importanti negli ultimi sette anni. Il settore civile è dominato da due big: essere loro fornitori implica tanto lavoro con grandi investimenti e margini minimi. E’ un modello di business rischioso. Questa è una compagnia che sta crescendo molto bene, gli investitori lo hanno capito: la marginalità nelle altre attività ci consentono di fare investimenti per rimanere competitivi nel tempo e mantenere le nostre tecnologie allo stato dell’arte. Allora anche in quegli impianti devo creare una speranza: non perdere un solo posto trasferendo lì altre produzioni e costruire subito alleanze internazionali di tipo nuovo per poter essere competitivi”.
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