“Ho vissuto un periodo buio, mi sentivo mediocre. I capelli rosa? Un modo per portare colore fuori quando stavo male dentro. Ora sogno San Siro con Gabry Ponte”: il ritorno di Erika
C’è stato un tempo in cui i jeans si indossavano a vita rigorosamente bassa, le cinture – sottilissime – non erano altro che un accessorio puramente estetico, e le magliette (possibilmente luccicanti) vestivano attillate sia per lui che per lei. Erano i primi anni 2000 e la dance italiana spopolava con hit che scalavano le classifiche pure all’estero. Tra queste anche “I Don’t Know”, interpretata nel 2003 da una giovanissima Erika De Bonis, la quale si era già fatta notare con i riempipista “Relations” e “Ditto”. Per motivi imperscrutabili, da alcuni mesi a questa parte “I Don’t Know” è diventata virale su TikTok e la Gen Z la usa come sottofondo per contenuti nei quali si pone domande più o meno serie e personali. Come fece a suo tempo la stessa Erika, che non poteva immaginare che la propria inquietudine adolescenziale sarebbe diventata una canzone famosa in mezzo mondo e che ora, proprio sulla scia del successo social, è stata affidata a Gabry Ponte per una rivisitazione approdata in radio nelle scorse settimane.
Se un brano torna in voga dopo così tanti anni vuol dire che aveva qualcosa di speciale. Secondo te qual è la magia di “I Don’t Know”?
Al di là della melodia molto bella, il testo che mio fratello (Tristano De Bonis, meglio noto come Magic Box, il cantante della hit del 2000 “Carillon”, ndr) mi ha dedicato. Non avevo nemmeno 18 anni, ero un’adolescente e condividevo con lui tutti i dubbi di una ragazzina che stava crescendo. Lui ha riversato nella canzone le nostre conversazioni e mi piace pensare che il brano possa dar voce ai sentimenti anche di molti adolescenti di oggi.
In un periodo storico dove per altro ogni certezza sembra crollare.
Sì, soprattutto se si fa l’errore di confrontarsi con gli altri. Ognuno di noi è unico. L’albero dei limoni deve fare i limoni. Se vuole iniziare a fare l’arancio o il castagno non sarà mai un albero felice.
Il tuo processo per diventare un’adulta è stato doloroso?
A livello personale più che artistico perché da questo punto di vista mi sono sentita molto protetta da mio fratello.
Che cosa faceva per te?
Ho iniziato questa carriera a 16 anni, avevo il sogno di fare la cantante e lo sono diventata. Mi esibivo in giro per il mondo, guardavo la vita come se tutto fosse possibile, perché nella realtà dei fatti per me lo era. La parte burocratica, noiosa e che riguardava il mondo degli adulti veniva gestita da mio fratello che mi consentiva così di vivere solo gli aspetti belli del mio lavoro.
Eri una cantante che si esibiva in tutto il mondo con i capelli rosa, perché?
A livello emotivo avevo vissuto un periodo buio e non riuscendo a cambiare il mio mondo interiore ho iniziato a farlo da fuori, così ho portato un po’ di colore e devo dire che ha funzionato perché è penetrato fin dentro l’anima.
Che cosa ti era successo?
Tra le cose che mi turbavano c’era il fatto di non sentirmi all’altezza. Invece di farmi ispirare, mi lasciavo intimidire da chi vedevo migliore di me. Ogni volta che mi guardavo allo specchio mi sentivo mediocre, e questo mi faceva stare male. Ancora oggi ci sono dei momenti in cui metto in dubbio le mie capacità, ma ho capito che il miglioramento è un processo: a volte i risultati si vedono nel tempo. Si deve imparare a essere pazienti.
Ai tempi “I Don’t Know” come venne accolta?
Benissimo e superò le aspettative, perché mi aprì le porte di paesi come il Brasile e la Russia, e mi fece partecipare agli show di MTV. Penso sia addirittura più conosciuta all’estero che in Italia. La nuova versione spero possa rendere giustizia al pezzo anche qui da noi.
In questa c’è lo zampino di Gabry Ponte. Vi conoscevate già?
Era capitato di incrociarci diverse volte. Vista la viralità della canzone sui social, Giacomo Maiolini di Time Records ha pensato di darle una nuova vita coinvolgendo Gabry Ponte che ha creato una versione che apprezzo molto perché non ha stravolto il brano, ma gli ha semplicemente dato un sound più moderno. La speranza è che venga ascoltata dalle nuove generazioni.
E che magari la si possa ballare a giugno 2026 nell’evento che Gabry Ponte terrà a San Siro…
Sarei pazza a dire di no. Lo spero con tutto il cuore. Comunque vada sarò presente, e spero che questa canzone risuoni tra quelle mura.
Perché in musica si torna così spesso a guardare al passato? È per mancanza di idee?
A mancare secondo me è la qualità, i testi di una volta. Ci sono tante cose nuove belle, ma bisogna andarsele a cercare. La qualità non emerge più come prima, si perde in un calderone di contenuti, un po’ come accade sui social. La nostra generazione è stata fortunata: abbiamo avuto grandi artisti che facevano musica per l’amore di farla, non per stare al centro dell’attenzione.
In termini di gratificazioni pensi che l’estero ti abbia dato più dell’Italia?
Sì. A me piace viaggiare, quindi uno dei motivi per cui scelgo di cantare in inglese è il fatto di poter comunicare in una lingua conosciuta in tutto il mondo e che mi permette di conoscere paesi e persone nuove, però mi dispiace di non essere riuscita a fare in Italia quel che ho fatto all’estero.
Secondo te come mai?
Per me è un mistero. Ammetto di non essere molto presente sui social, quindi forse non sono capace di integrare la parte artistica con quella manageriale.
Che cosa ricordi dell’exploit dei primi anni di carriera?
Di aver imparato dalle esperienze fatte. Ai tempi si usava molto il playback per le performance, e questo mi ha penalizzata perché quando capitavano esibizioni live non ero abbastanza allenata. Se mi guardo indietro molte mie performance mi imbarazzano, anche se ho dei fan con un grande cuore visto che mi fanno complimenti anche per cose delle quali io mi vergogno (ride, ndr).
In seguito hai diradato le tue uscite discografiche. La prima volta che sei tornata è stata nel 2015 dopo oltre 10 anni di silenzio. Nel mezzo che cosa c’è stato?
Ho perso mio padre e la sua scomparsa mi ha scossa tanto. Mi sono presa del tempo per cercare di capire come andare avanti, perché non era solo mio papà: era pure lui un musicista e la musica ci univa molto. Mi ci è voluto coraggio per continuare su questa strada.
Dove lo hai trovato?
Lontano dalle luci della ribalta ho proseguito a fare musica, ma sono venute fuori cose diverse da quelle che il pubblico conosceva: anche per questo non è stato facile tornare. Ai tempi era mio fratello a scrivere i brani, poi sono diventata io stessa autrice ma la mia musica e i miei messaggi erano differenti da quelli che avevo proposto in passato. Avevo lavorato ad un album, ma non sono riuscita a pubblicarlo perché le case discografiche non erano d’accordo. Sono brani chiusi nel cassetto e magari un giorno vedranno la luce. È stata comunque un’esperienza per migliorarmi come artista. Ora cercherò di fare un mix di quello che è stato il passato e il presente per introdurmi anche come cantautrice.
Che cosa ti aspetti dopo questa ritrovata popolarità grazie ad “I Don’t Know”?
La speranza è che mi apra una porta anche in Italia, in modo da poter proporre nuova musica che mi auguro le persone siano disposte ad ascoltare. Sono tornata a coinvolgere mio fratello perché gli devo molto sia come autore che come persona, e poi come si dice: “Squadra che vince non si cambia”. Mi è piaciuto ricreare il team di allora per lavorare su materiale che si avvicini alla persona che sono oggi. “I’m not a baby anymore”, è così che inizia “I Don’t Know”, ed è ancor più vero ora: sono passati 20 anni e non sono più una bambina.
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