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YHWH Nailgun – 45 Pounds: :: Le Recensioni di OndaRock

“45 Pounds” è l’album di debutto degli americani YHWH Nailgun, che arriva dopo la pubblicazione di due Ep nel 2022, un breve ma intenso viaggio nel rock più sperimentale che trascina l’ascoltatore in una spirale di ritmi e trame ossessive. In ventuno minuti esatti si viene letteralmente travolti da vortici sonori destabilizzanti in un condensato di rumorismi industrial e frenesie post-punk. Le tracce si susseguono come fossero un unico flusso ininterrotto, fatto di percussioni martellanti e ritmi quasi tribali che si intrecciano creando un tessuto sonoro denso e caotico.
Nel suo incedere claustrofobico c’è poco spazio per momenti più pacati ma d’altronde trattasi pur sempre di un lavoro brevissimo in cui non è impossibile restare in apnea in attesa della boccata d’ossigeno finale. L’album infatti sembra trasmettere un senso di ansia e urgenza con la volontà di evocare la frenesia della vita contemporanea che ci espone a valanghe di informazioni tra le quali è difficile districarsi.

Nessun pezzo si eleva sugli altri ma nel contempo nessuno è minimamente sottotono.
Si parte subito forte con l’apertura di “Penetrator” che fa capire immediatamente il tenore potente e allucinato dell’album, per poi passare a “Castarto Raw (Fullback)”, caratterizzata da un incedere particolarmente coinvolgente, a seguire la martellante “Pain Fountain”, fino ad arrivare al pezzo dalle sonorità più inquietanti “Animal Death Already Breathing”. Non un momento di cedimento, tanto che “Ultra Shade” e le successive “Iron Feet” e “Tear Pusher” rappresentano il culmine di questo lavoro, tra chitarre spigolose, synth distorti e la consueta batteria a tracciare parabole in vago stile math-rock.
“Blackout”, dalle travolgenti aperture sonore, e la successiva ”Changer” chiudono degnamente un lavoro che, seppur brevissimo, contiene innumerevoli momenti interessanti, mettendo in mostra un grandissimo potenziale.

“45 Pounds” è un’opera audace, in cui le percussioni di Sam Pickard, assolutamente reali anche se sembrano realizzate in modo digitale, sono le vere protagoniste tanto da mettere quasi in secondo piano la voce sofferente e rabbiosa del frontman Zack Borzone, che sembra cercare spazio nel frastuono assordante ma ragionato del disco.
Al suo interno poi si possono intravedere assonanze con alcune opere di band come Battles, This Heat o Don Caballero, solo per citarne alcune.
Un ciclo veloce di centrifuga da cui si esce frastornati ma appagati, un martello pneumatico che ti spacca le tempie ma che per ragioni oscure vorresti non finisse mai. Questo il sorprendente primo album di una band di cui certamente sentiremo parlare molto in futuro.

12/04/2025




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