Cultura

 Yaya Bey – Do It Afraid

Yaya Bey non canta, sussurra. E lo fa con tutto il peso della vita che si porta addosso: amore, precarietà, famiglia, fede, festa. Do It Afraid è un album fatto di groove spontanei, beat che sembrano registrati tra una telefonata e una confessione, e testi che ti fanno lo sgambetto mentre sorridi. È R&B, ma è anche jazz, hip hop, e soul urbano. A volte è spoglio come un diario, altre volte è un carnevale nel Bronx. Yaya, infatti, si muove tra spoken word, canto e il caro vecchio rap con naturalezza totale. Le sue parole sembrano buttate lì – e invece sono cesellate. Nulla è perfetto, tutto è vero. C’è spiritualità, ma senza dogma. C’è dolore, ma mai vittimismo. La sua forza è tutta lì: fare musica per sopravvivere, ma farla con stile, con ironia, con femminilità libera e affilata. Do It Afraid è un manifesto non urlato, una carezza ruvida, una spinta a vivere anche quando ci tremano le gambe.

Credit: Geoffrey Baptiste

In tracce come Wake Up Bitch e Dream Girl, il battito è lento, urbano, quasi da freestyle spirituale: parla di paure, ma anche di quella forza – quasi innaturale – che ti fa alzare dal letto anche quando niente ha senso. C’è un’urgenza calma che attraversa tutto il disco, una consapevolezza cruda: si può essere a pezzi e andare avanti lo stesso. Poi arrivano momenti più brillanti, solari, in cui Bey lascia entrare la luce dalla finestra. In “A Surrender” si danza davvero, ma sempre con la malinconia come ospite silenzioso. I ritmi caraibici non sono sfoggio, sono radice, sono casa. È musica che ti fa muovere mentre pensi, che ti fa sorridere mentre ti si stringe il cuore. E quando sembra che stia per diventare troppo tenera o troppo cupa, Yaya cambia registro. “Choice” chiude il disco come una preghiera sussurrata con rabbia: non cerca risposte, ma afferma il diritto di essere incerti. Di credere ognuno a modo proprio.

In tutto questo, non c’è un singolo hit da classifica. Ma ogni pezzo è un frammento vero, vissuto, lucido. Do It Afraid non è un album che vuole piacere a tutti. È un disco che ti chiede di ascoltarlo da vicino. E se lo fai, ti cambia qualcosa dentro. Sincero, vulnerabile, potente nella sua imperfezione. In soldoni, un album che non ti salva, ma ti capisce. Non è forse questo il vero potere della (buona) musica?


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