Volvera, il mistero del coltello avvistato sul divano del killer
Le indagini sono in corso, ma la dinamica dell’omicidio di Chiara Spatola e del compagno, Simone Sorrentino, sembra lasciare pochi dubbi. E anche per il movente, l’ipotesi più battuta è che Andrea Longo, il vicino di casa, li abbia uccisi perché non accettava che la ragazza non stesse insieme a lui. Eppure questo dramma continua a sollevare interrogativi. «Perché non lo avete portato via prima?» urlava la mamma di Chiara quella notte di giovedì, davanti alla palazzina della coppia a Volvera.


Se li si mette tutti in fila, i campanelli d’allarme potrebbero far pensare a una tragedia già scritta. I precedenti penali, i disturbi psichiatrici, la chiamata dell’assassino al 118, solo qualche ora prima dell’omicidio-suicidio: «Sto male, aiutatemi». E poi il mistero del coltello, che i sanitari potrebbero aver visto quando sono entrati nel suo appartamento.


A Saronno, città lombarda di cui era originario, Andrea Longo lavorava come autotrasportatore ed era in cura da uno psichiatra, che gli prescriveva psicofarmaci per tenere a bada il suo stato d’ansia frequente. Per verificare che fossero le uniche sostanze assunte prima dell’omicidio, su di lui verrà effettuato anche un esame tossicologico. L’incarico per l’autopsia, da eseguire su tutti e tre i corpi, arriverà, però, solo martedì.
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Quel che è certo è che qualche ora prima della mattanza, intorno alle 16, Longo aveva chiamato un’ambulanza: tremava, era in preda all’ansia. I sanitari non hanno ritenuto necessario il ricovero, «forse perché non sono emersi elementi di natura psicotica — ha spiegato ieri a Repubblica lo psichiatra Vincenzo Villari -. Prevedere che avrebbe fatto un disastro era pressoché impossibile per chi è andato ad assisterlo».
Stando a quanto riferito sia alla madre di Chiara, Teresa Demartino, che a Massimo Toscano, vicino che per primo è arrivato sul luogo del delitto, «i sanitari avevano notato il lungo coltello: lo teneva poggiato sul divano, dentro il fodero». E tra i precedenti di cui si era macchiato, oltre alla rapina, c’è anche il porto abusivo d’armi.
Alle 20.45 è proprio Toscano a sentire le urla che provengono dalla palazzina e precipitarsi lì. «Ho visto lei a terra, poco distante dal ragazzo, accovacciato su se stesso. Erano entrambi già morti. L’assassino invece era in piedi, ancora vivo ma pieno di sangue». Quando scavalca il cancello per raggiungerli, però, Longo si conficca il coltello sotto il mento: è il secondo colpo autoinferto, subito dopo un altro più superficiale con cui aveva tentato di tagliarsi la gola. «Rantolava, si trascinava a terra. Non sapevo fosse l’assassino, gli dicevo: “Stai calmo, abbiamo chiamato i soccorsi”». Stando al suo racconto, il 34enne sarebbe morto un quarto d’ora dopo, cinque minuti prima dell’arrivo dell’ambulanza.


Adesso tocca alla procura ricostruire la catena degli eventi. Per non lasciare nulla al caso saranno necessarie altre verifiche, dall’ascolto degli ambulanzieri all’acquisizione della chiamata fatta da Longo al 118, oltre che all’analisi dei messaggi presenti sui cellulari dei tre ragazzi, al momento sotto sequestro.
Intanto Volvera si stringe attorno ai familiari delle vittime. Mazzi di fiori e messaggi sono comparsi sul cancello della loro casa. Domani alle 21 ci sarà una fiaccolata per ricordare i due giovani.
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