Cultura

Vogliono farvi credere che le parole siano più gravi di un genocidio


Non si placano le polemiche attorno ai Kneecap, il trio rap nordirlandese che da anni trasforma la rabbia e la memoria storica del conflitto nell’Irlanda del Nord in performance viscerali e provocatorie. Questa volta, però, il fuoco incrociato arriva da entrambi i lati dell’Atlantico: al centro del vortice, le scritte anti-Israele apparse durante la loro recente esibizione al Coachella e alcune frasi del passato — in particolare riferimenti a Hamas, Hezbollah e un controverso “l’unico Tory buono è un Tory morto” pronunciato sul suolo inglese — che hanno scatenato reazioni politiche, indagini della polizia e un coinvolgimento dell’antiterrorismo britannico.

In risposta, Kneecap ha diffuso un comunicato che tenta di ricollocare la narrazione dentro coordinate più complesse: il rifiuto della violenza contro i civili, la condanna implicita degli attacchi del 7 ottobre, e un’esplicita presa di distanza da ogni forma di sostegno a organizzazioni armate. Una linea di demarcazione netta, che i tre rapper tracciano ricordando il proprio retroterra segnato dai Troubles e da una lunga storia di violenza settaria. “È un principio che conosciamo bene”, scrivono, lasciando trasparire il peso della memoria collettiva nordirlandese.

Ma è la seconda parte del comunicato a colpire di più per toni e contenuto: il gruppo denuncia quella che definisce “un’ondata di isteria morale” alimentata dall’establishment, che avrebbe scavato negli archivi alla ricerca di frasi decontestualizzate per dipingere il collettivo come istigatore d’odio. “Vogliono farvi credere che le parole fanno più danni di un genocidio”, accusano, nel tentativo di ribaltare il frame mediatico e riportare l’attenzione sulla crisi umanitaria a Gaza, dove — secondo i Kneecap — “due milioni di palestinesi sono ridotti alla fame” e “almeno 20mila bambini sono stati uccisi”.

Il comunicato si chiude con un passaggio carico di ambivalenza: le scuse ai familiari di Jo Cox e David Amess, due parlamentari britannici uccisi in attentati distinti, che però non bastano a placare le accuse mosse da una parte dell’opinione pubblica. “Il nostro è sempre stato un messaggio di amore, inclusione e speranza”, affermano, rivendicando un’identità artistica che non conosce confini e che, a detta loro, continua a unire generazioni, classi e culture.

Ma l’eco delle loro parole a Coachella — dove hanno criticato apertamente l’amministrazione USA — ha avuto un effetto boomerang nel Regno Unito, scatenando reazioni violente e un’ondata di indignazione politica. “I veri crimini non li trovate nelle nostre performance: sono nel silenzio e nella complicità di chi detiene il potere. Vergogna”, concludono, con il tono crudo che li contraddistingue.

Che Kneecap stia giocando un gioco troppo pericoloso sul filo del linguaggio e della provocazione politica, o che sia vittima di un tentativo di censura da parte dei poteri forti, resta materia di dibattito. Di certo c’è che il loro nome, nel bene o nel male, continuerà a far rumore. E non solo sui palchi.




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