Vittoria di Gisèle: “Per chi non ha voce”
Alcuni dei 51 imputati tra i 27 e i 74 anni ieri hanno detto di non essere affatto degli stupratori. Almeno non lo erano, per sentenza, fino all’impegno di Gisèle Pelicot, la 72enne francese che non ricordava nessuna delle violenze sessuali subite in casa per dieci anni, tra il 2011 e il 2020, a causa degli psicofarmaci disciolti a sua insaputa nelle bevande e nei cibi preparati per lei dal marito, che di quell’orchestra di ospiti reclutati on line era il direttore. Invece? Tutti colpevoli. Lo ha deciso ieri il tribunale di Avignone, chiudendo il processo di Mazan, che prende nome dal villaggio in Provenza dove viveva la coppia Pelicot.
Lui, il marito ormai ex, è stato condannato al massimo della pena: 20 anni di reclusione per stupro aggravato. Ma il signor Dominque poteva anche farla franca, se a processo iniziato non fosse stato colto in flagrante da una guardia giurata in un supermercato Leclerc mentre filmava con una telecamera nascosta sotto le gonne delle clienti. Arrestato, la polizia ha scoperto solo a quel punto l’orrore nascosto in un hard disk del computer, una cartella «Abusi» sulla moglie che lo ha incastrato definitivamente. Senza quella circostanza che ha portato a scoprire la trama, il cosiddetto caso degli stupri di Mazan non sarebbe forse mai venuto alla luce in tutta la sua portata.
Ma c’è un motivo soprattutto se da ieri mattina alle 5 una folla ha raggiunto il tribunale di Avignone dov’era attesa la sentenza: per dire grazie a Gisèle. È stata lei a decidere di andare fino in fondo a una storia che neppure ricordava, perché drogata dal marito. Processo «più simile a un calvario. Ma ho lottato per tutte le vittime non riconosciute», ha detto ieri. È riuscita a oltrepassare lo statuto di semplice vittima diventando simbolo, icona, e non solo femminista, tanto che ieri anche il premier francese Bayrou ha espresso «l’immenso rispetto per Gisèle Pelicot che ha mostrato un coraggio senza tentennamenti», invitando tutti via X a seguire il suo esempio. Una donna che si è prestata a vedere in aula video e foto degli stupri inflitti nel suo stesso letto, a subire estenuanti interrogatori e reggerli con piglio da combattente, pur di arrivare a una sentenza di condanna. Soprattutto, ha rifiutato un processo a porte chiuse e dunque l’anonimato. Ci ha messo la faccia senza vergogna.
Prima di far entrare degli sconosciuti reclutati on line per violentare la moglie Gisèle mentre era incosciente, dal marito nessun comportamento particolarmente sospetto. «Mi pento per ciò che ho fatto e chiedo perdono», ha detto l’orco durante un processo iniziato il 2 settembre. È stato un percorso di sfida contro il rischio impunità. Via via l’orco è crollato cominciando a fare i nomi degli accusati dicendo che «tutti sapevano» che la moglie era sedata. Dominique è stato ritenuto colpevole anche di aver prodotto e distribuito immagini pornografiche: oltre che di Gisèle, anche della figlia Caroline e delle mogli dei suoi figli. Sta valutando di presentare ricorso e ha dieci giorni di tempo. Tra i 50 imputati con lui, anche un uomo che ha sottoposto la moglie alla stessa tortura, lasciando che anche lei fosse violentata da Dominique Pelicot dopo averla drogata. Per lui, pena di 12 anni. Agli altri attribuiti dai 3 ai 15 anni di carcere, di cui 2 con pena sospesa e 4 parzialmente sospesa.
In alcuni casi, pene minori di quelle chieste dalla procura. Solo 18 imputati si erano dichiarati colpevoli. Da ieri sono violentatori, mentre Gisèle è «l’eroina per le donne di tutto il mondo», secondo il settimanale tedesco Der Spiegel. E la folla che l’ha applaudita.
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