Società

Violenza economica: come si riconosce, e cosa si può fare

Questo articolo sulla violenza economica è pubblicato sul numero 48 di Vanity Fair in edicola fino al 25 novembre 2025.

Matrimonio: da mater, madre. Patrimonio: da pater, padre. L’etimologia non mente. Alle donne la cura, agli uomini il potere economico. E ancora oggi, in Italia, 7 donne su 10 hanno vissuto o assistito a forme di abuso economico che limitano la loro libertà. Si chiama violenza economica, e si manifesta per esempio quando lui gestisce il mutuo mentre lei si occupa della spesa, ma senza accesso al conto corrente. Quando il suo stipendio viene svalutato («guadagno di più, decido io»). Quando ogni acquisto deve essere giustificato, ogni desiderio sottoposto ad autorizzazione.

Per questo abbiamo commissionato all’Università SDA Bocconi la ricerca Il prezzo della libertà. Come si manifesta la violenza economica contro le donne, i cui risultati saranno presentati il 25 novembre, Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, in un dibattito con esperti, istituzioni e società civile. Non parliamo di casi estremi, ma di dinamiche quotidiane che attraversano ogni età, classe sociale, livello di istruzione e area geografica del nostro Paese.

Il fenomeno è culturale e trasversale e si articola in tre forme: restrizione (controllo diretto su decisioni e risorse), sfruttamento (uso del successo o dello status come leva di potere), e sabotaggio (impedire alla partner di lavorare, studiare o crescere professionalmente). Quello che più colpisce è l’inconsapevolezza: la violenza economica si annida nel quotidiano, normalizzata e mascherata da «buon senso» o «gestione condivisa». Molte donne non riconoscono di subirla, molti uomini non vedono il proprio potere.

Cosa possiamo fare? Tre pilastri sono essenziali. Primo: il potere dell’educazione. La ricerca conferma che l’istruzione ridimensiona il fenomeno, ma non lo elimina. Dobbiamo garantire alle ragazze formazione professionale di qualità per accedere a lavori ben retribuiti e costruire la propria autonomia economica. Dobbiamo anche incitare le donne a lavorare (1 donna su 2 in Italia non lavora!) per costruirsi un futuro indipendente e soddisfacente. Secondo: rompere il tabù donne-soldi. Troppo spesso alle donne viene negata l’educazione finanziaria. Scuole, banche, istituzioni devono fare la loro parte, creando programmi di educazione economica accessibili e paritari. Il denaro è strumento di autodeterminazione, dignità e scelta. Terzo: costruire una rete di consapevolezza. Uomini che condividano le decisioni economiche in coppia. Famiglie che educhino alla parità economica. Imprese che garantiscano equità salariale. Istituzioni che legiferino e sostengano chi denuncia. Ognuno di noi può diventare una vedetta civile, imparando a riconoscere i segnali e ad agire.

Per questo, la ricerca non vuole restare un esercizio accademico, ma fornire strumenti concreti. La violenza economica non è «un problema delle donne»: è un problema di civiltà. Riguarda tutti noi – donne, uomini, famiglie, imprese, istituzioni. È una causa che vale la pena combattere, perché nessuno dovrebbe mai pagare il prezzo della propria libertà.

Sabina Belli, Pomellato Group Ceo e membro del Board della Kering Foundation. In occasione del 25 novembre, per la quinta volta Pomellato, da sempre impegnata nell’empowerment femminile, organizza un evento nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

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