Piemonte

Vino a gradazione zero: i produttori dell’Astigiano sono favorevoli pensando a Usa e Emirati


La prima cosa da fare sarà assaggiarli, perché se c’è una cosa su cui concordano tutti – gli scettici, i curiosi, gli entusiasti – è che i vini dealcolati «sono una cosa diversa», che con il vino avranno poco a che spartire. Però i gusti cambiano, il mercato pure e, con le disposizioni attuative pubblicate dal ministero dell’Agricoltura, anche il Piemonte si affaccia al mercato del vino integralmente o parzialmente alcol free. Le novità: mentre fino a oggi le cantine – tra i pionieri c’è Bosca di Canelli – dovevano rivolgersi ad aziende alimentari o esportare vino all’estero per reimportarlo dealcolato, da oggi lo si potrà privare dell’alcol anche in azienda. E chiamarlo vino. Avviare un impianto costerà intorno ai 300 mila euro.

I più stanno alla finestra. «La Langa non ha tutta questa esigenza di andare in tale direzione», dicono dalle Terre del Barolo. E molti contestano ancora l’utilizzo del nome. «A noi non piace chiamarlo vino perché vino non è», commentano da Coldiretti Cuneo il presidente Enrico Nada e il coordinatore della consulta vitivinicola Federico Vacca. Sottolineano che il vino è un fermentato naturale dell’uva, «un prodotto agricolo». Non temono che i nuovi prodotti possano intaccare un mercato già in sofferenza: «È una questione di immagine – spiegano –. Non vorremmo che l’approccio al vino venisse intaccato da un prodotto industriale».

In altre zone del Piemonte invece le cose cambiano. «Precludersi un’opportunità sarebbe un peccato», commenta Gianluca Demaria, il responsabile regionale della sezione vini di Confagricoltura. Anche lì un po’ di scetticismo sul nome resiste: «Ma a livello comunitario è già stato recepito da tempo, mi sembra giusto che sia data anche all’italia questa opportunità». Le previsioni parlano di un 2-3 per cento di mercato, con una crescita stimata fino al 5 e una richiesta che arriva soprattutto dagli Usa, prima piazza dei vini piemontesi. L’obiettivo è anche puntare su nuovi mercati alcol free, a cominciare dagli Emirati.

Se la Langa dei grandi rossi resta al momento poco attratta, ad aprirsi è l’Astigiano. «Non ci spaventa. Siamo da sempre produttori di vini a basso grado alcolico: si prestano meglio a intercettare una tendenza che va seguita e coordinata», dice Stefano Ricagno, presidente del Consorzio dell’Asti Docg, che ha appena finito di conteggiare le bottiglie: oltre 90 milioni anche nel 2024, in linea con l’anno precedente. A trainare è il Moscato d’Asti, con 33 milioni di pezzi, in crescita doppia proprio grazie a States, Cina e Corea, mentre la Russia torna a +49 per cento. Per Ricagno non c’è da aver paura. «Anzi, bisognerebbe aprire nuovi spazi di riflessione. Oggi fare un dealcolato da uve piemontesi è impossibile, perché sono tutte tutelate da Doc e Docg».

Il decreto apre infatti solo a bianchi e rossi generici, con il risultato che sarebbe controproducente, per i produttori piemontesi, declassare le uve Doc e Docg deprezzandole in uve generiche. «In Francia però già si produce Cabernet zero e come piemontesi dovremmo capire se vogliamo veramente rimanere al di fuori di questa opportunità». Avanza una proposta: sedersi a un tavolo e discutere della possibilità di arrivare a denominazioni protette anche per i dealcolati. «Prove tecniche dimostrano che i migliori risultati derivano dalle uve aromatiche. E il Piemonte è uno dei migliori territori al mondo, con Brachetto e Moscato. Perché non fare il passo?». Dalla Regione, al momento, la porta sembra chiusa: «Per me il dealcolato non è vino – dice a Repubblica l’assessore all’agricoltura Paolo Bongioanni – Usare il marchio Docg non mi sembra opportuno».


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