Basilicata

Vibo, vittima di usura attende da un anno il processo per risarcimento dei danni

Lo sfogo del testimone di giustizia Michele Tramontana e della moglie, vittime di usura, che a un anno dalla sentenza di primo grado del tribunale di Vibo, con la condanna dei presunti responsabili, attende da un anno la fissazione del processo per il riconoscimento del risarcimento dei danni subiti e vive in uno stato di indigenza


VIBO VALENTIA – In occasione dell’evento “Contromafiaecorruzione” organizzato da Libera e in programma a Vibo fino a domenica 20 ottobre, ecco lo sfogo di Michele Tramontana, storico testimone di giustizia del Vibonese, e della sua ex moglie Fortunata Sangeniti, vittime di usura, vittime di mafia, “silenziate dalla barbarie assassina ma che respirano e palpitano lottando per una vita che sanno potrebbero non avere più da un momento all’altro”.

L’INIZIO DELL’INCUBO DELL’USURA PER IL TESTIMONE DI GIUSTIZIA

Fino al 1995, Tramontana Michele affiancava il padre Giuseppe nell’esercizio di falegnameria a Rombiolo; l’attività era florida tanto che gli stessi decidevano di ampliarla sia come sede di lavoro che come ambito e commesse, accedendo anche a finanziamenti statali. Trascorso qualche anno qualche anno di duro ma proficuo lavoro, l’imprenditore subiva  un grave infortunio sul lavoro, con amputazione di tre dita di una mano rendendo necessario un intervento chirurgico presso struttura specializzata in modo tale da assicurare la guarigione e l’uso dell’arto.  Inevitabile, però, la sostanziale inattività lavorativa le consistenti esborsi per le cure.  

L’obbligo di pagamento delle rate di mutuo, le spese da sostenere avevano costretto Tramontana a richiedere prestiti, sempre maggiori e sempre più frequenti, a chiunque, prima ai familiari, poi agli amici poi a soggetti che si rivelavano che lo avrebbero fatto piombare nell’incubo.  Nel 2006, non potendo più far fronte ai pagamenti, distrutto dalle minacce e dai gravi atti intimidatori nei confronti di tutti gli esponenti della propria famiglia (incendi dell’opificio, danneggiamenti a beni e mezzi), la parte offesa prima era fuggito dalla Calabria per poi, a distanza di un anno, denunciato i propri presunti aguzzini.

Tramontana Michele e la moglie nel frattempo separata avevano aderito ob torto collo alla fuoriuscita dal programma di protezione di cui sulla loro pelle avevano “verificato la vacuità”, purtuttavia il mancato rispetto  (o meglio il ritardato rispetto) da parte del Ministero delle previsioni di cui all’accordo predetto hanno condotto l’uomo e la sua famiglia alla “sostanziale indigenza” anche perché tutte le attività intraprese e gli investimenti effettuati, infatti, si erano rivelate un colossale fallimento per l’indisponibilità nei tempi previsti delle somme riconosciute.

NEL 2023 LA SENTENZA DI PRIMO GRADO A BEN 16 ANNI DAI FATTI

Il 19 luglio del 2023 arriva la sentenza dal Tribunale di Vibo Valentia che condanna due imputati, Raffele Lentini e Roberto Cuturello, alla pena rispettivamente a 3 e 4 anni di reclusione, e ne assolve 4: Michele Marturano, Giorgio Galiano, Raffaele Gallizzi e Pantaleone Rizzo. Malgrado pene più miti rispetto a quelle richieste dalla Procura di Vibo, per il testimone di giustizia, artigiano del legno dalla cui vita distrutta dagli usurai si era trattato comunque un successo processuale che ne certificava la credibilità. Il rischio prescrizione – dopo un verdetto giunto a 16 anni dagli episodi e a 13 dall’apertura del dibattimento – scampato per il riconoscimento dell’aggravante mafiosa per le principali contestazioni.

Nel procedimento in questione sono costituiti parte civile i due coniugi (all’epoca non separati) oltre ai genitori dell’imprenditore. Tuttavia in sentenza non una parola in ordine al mancato riconoscimento del diritto al risarcimento del danno derivato dall’usura in capo alle altre parti civili costituite e quel punto, il testimone di giustizia di Vibo, in proprio e quale erede del defunto padre, unitamente alla coniuge ed agli altri eredi, aveva interposto Appello sul punto con la trasmissione del fascicolo alla Corte di Catanzaro depositando, tramite l’avvocato Rosario Scognamiglio una prima istanza ai giudici di secondo grado con cui chiedevano la trattazione ravvicinata del procedimento, evidenziando sia la imminente prescrizione dei reati che il loro stato di bisogno.   Istanza reiterata dopo breve tempo con allegazione del preavviso di revoca dei benefici previsti dalla legge sui testimoni di giustizia nei confronti della signora Sangeniti.

VITTIMA DI USURA A VIBO, LA CORTE RESPINGE L’ISTANZA DI URGENZA DEL PROCESSO PER IL RICONOSCIMENTO DEL RISARCIMENTO

Ma “incomprensibilmente la Corte respingeva questa ultima istanza rilevando l’assenza di motivi di urgenza e che la trattazione sarebbe avvenuta secondo la calendarizzazione ordinaria dell’ufficio”.  

Trascorso oltre un anno dalla emissione della sentenza, ad oggi nessuna fissazione di udienza in previsione con il risultato che Tramontana risulta ad oggi “bloccato nell’acceso ai fondi per le vittime di usura e di reati di stampo mafioso non essendovi sentenza definitiva e gli altri familiari addirittura dovrebbero restituire quel poco percepito. Testimoni di giustizia, o meglio testimoni di come viene amministrata la giustizia” commentano i coniugi.

Tra l’altro, l’imprenditore recatosi in Calabria poco prima della emissione della sentenza  aveva subito il “danneggiamento a colpi di pistola della sua autovettura, mentre pizzini e proiettili erano stati recapitati a tutti i familiari, addirittura nascosti sulla tomba del padre, Ma tutte le denunce sono state archiviate, comprese quelle nei confronti dell’Amministrazione cadute nel silenzio più fitto.  Forse è una illusione che grazie a “Libera” qualcosa si muova, per destare coscienze sopite”.


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