Ambiente

«Vi spiego come ridare vita alle aree interne d’Italia»

Immerso in un’azzurra bruma autunnale, Pier Paolo Pasolini osserva il profilo della città di Orte insieme a Ninetto Davoli. È il 1974, a maggio l’Italia ha celebrato il progresso con il referendum sul divorzio e sofferto la tragedia della strage di Piazza della Loggia. Il regista è protagonista del documentario Rai “Pasolini e ..la forma della città”, in cui racconta all’attore e al pubblico la sua estetica del contro-sviluppo. Percorrendo «un selciato sconnesso e antico» nota che «è un’umile cosa, non si può nemmeno confrontare con certe opere d’arte, d’autore, stupende, della tradizione italiana. Eppure io penso che questa stradina da niente, così umile, sia da difendere con lo stesso accanimento, con la stessa buona volontà, con lo stesso rigore, con cui si difende l’opera d’arte di un grande autore». Nel 1974 Daniele Kihlgren è un bambino biondo di otto anni e vive a Milano in una famiglia italo-svedese dall’alta borghesia che ha costruito il suo patrimonio con il cemento, proprio quel materiale che stava ricoprendo l’Italia alimentando lo sdegno di Pasolini. Eppure, delle parole del poeta, Kihlgren oggi è forse il più fedele e appassionato custode. Anima inquieta – «sono divorato dalla curiosità» – negli anni 90 lascia Milano con la laurea in filosofia per vivere a Pescara (la famiglia ha una fabbrica anche lì). Ama salire in moto sulle strade metafisiche che dal mare della provincia portano al Gran Sasso e approda ai 1250 metri di Santo Stefano di Sessanio, uno dei borghi pietrosi, solitari e austeri della regione. Come il Pellegrino di Schiller, montanaro come lui, lì trova quel “portone d’oro” che gli rivela finalmente “tutto ciò che diventa eterno e immortale”. «Più che altro sembrava un posto post apocalittico. Era tristissimo, non c’era praticamente nessuno. Eppure ho riconosciuto il suo senso del sacro, la necessità di proteggerlo», spiega. Ha un’intuizione, che trasforma in progetto imprenditoriale: acquista le abitazioni contadine abbandonate dagli emigranti, le ristruttura con maniacale cura filologica e nel 2004 nasce Sextantio, uno dei primi progetti di ospitalità diffusa del mondo e insieme progetto di solida visione filosofica e antropologica. Il nome è quello antico della città, un tempo uno dei borghi della medievale Baronia di Carapelle, dove i segni dell’antica ricchezza fatta di lana e pastorizia si rivelano, solo a chi osserva molto attentamente, nei fregi sui palazzi segnati dal tempo e dall’abbandono: «Il patrimonio storico minore dell’Italia, quello vernacolare, è a rischio. Interi paesaggi si sono estinti, soffocati dalle costruzioni contemporanee – racconta mentre camminiamo fra le strade sassose del paese, dove venne anche Escher, attratto da quegli edifici costruiti su livelli scoscesi e vertiginosi -. Sono stati fatti anche molti errori, e si continuano tragicamente a fare, nella gestione dello sviluppo, quando borghi come questo vengono circondati da edifici slegati dalla loro storia, alla loro identità, dalla marea delle seconde case». Ritorna il Pasolini del 1974, che denunciava «nessuno si rende conto che quello che va difeso è proprio questo passato anonimo, questo passato senza nome, questo passato popolare».

Nelle ventina di case-stanze di Sextantio arrivano turisti da tutto il mondo, varie celebrità come viaggiatori curiosi in cerca di un’esperienza che offra un senso di autenticità, elemento oggi prioritario per il turismo di alta gamma. Ma a differenza di resort e altri “alberghi diffusi” – termine e concetto di cui probabilmente Kihlgren è genitore, ma che dire che non ama è usare un eufemismo – Sextantio ha riportato vita fra mura dove orgogliosamente restano, o tornano, i segni del vissuto precedente: le coperte sono fatte su antichi telai con la lana dei pascoli del Gran Sasso, che riempie anche i materassi; gli interruttori sono di ceramica, i letti, i comodini, le sedie di totale recupero. La bellezza densa e colta di questo stile che fa diventare avanguardia il passato allontana le insidie formulaiche del lusso, suggerito solo dagli arredi del bagno firmati Philippe Starck: «Bianchi, essenziali, li abbiamo scelti perché devono farsi riconoscere come elementi alieni», dice l’imprenditore. Per recuperare gli oggetti dalla vita di chi c’era prima si è affidato all’antropologa Annunziata Taraschi, che ha intervistato gli anziani, registrato il loro vissuto, aperto ricordi, armadi e credenze, e continua a collaborare intensamente con il Museo delle Genti d’Abruzzo di Pescara. Il risultato è un’ospitalità originale, ruvida, responsabile, che nel 2016 fa meritare a Kihlgren il dottorato honoris causa in Beni culturali e territorio, conferito dall’università Tor Vergata di Roma e tre anni dopo la presenza nella lista delle 25 personalità più influenti che hanno cambiato il modo di viaggiare di Condé Nast Traveler. Gli articoli su di lui sono in decine di lingue, ma Kihlgren non vuole fare il guru, il santone dell’ospitalità alternativa e d’avanguardia. È più come se la ricerca personale di un senso l’abbia portato verso un progetto che lo ha infine trasceso.

«C’è il comfort, certo, ma non la televisione. Abbiamo lasciato le mura annerite dai fuochi che i contadini accendevano nelle case senza camino, non avrebbe avuto senso farle bianche e lisce, tutte uguali. È un paradosso, ma molto spesso, quando questi luoghi riprendono vita con progetti turistici, perdono tutta la loro identità». C’è invece un intenso odore di camino nella cucina della casa nobiliare risalente ai tempi in cui Santo Stefano era feudo dei Medici, che vi producevano lana e costruirono la bella torre ancora oggi svettante sui tetti del paese. In quella stanza oggi si insegna a fare il pane agli ospiti, ed è proprio dal cibo che passerà il prossimo progetto evolutivo di Sextantio: «Stiamo investendo nel nuovo ristorante, sarà seguito da un giovane chef della zona che ha deciso di lasciare una cucina stellata per proporre ingredienti e sapori della tradizione, per i quali c’è un rinnovato e generale interesse. Ci stiamo lavorando, dovremmo partire in autunno».

Lo chef sarà probabilmente uno dei nuovi residenti del paese, dove grazie al progetto Sextantio sono tornate a proliferare attività economiche e a nascere bambini: «In questi anni le strutture ricettive sono passate da una a 23 e il numero delle partite Iva, che comprendono anche ristoranti, locali e botteghe, stanno raggiungendo il numero degli abitanti, 55 per 70».

Tuttavia, la provincia dell’Aquila è la nona in Italia per tasso di spopolamento: il 65% dei suoi comuni si trova nelle aree interne, fra 2014 e 2024 hanno perso quasi il 10% degli abitanti. L’Abruzzo “centrifugo”, di cui parlava Guido Piovene negli anni 50, esiste ancora. «Serve una formula, sostenuta da istituzioni e privati, per tutelare e riportare vita in questi luoghi, favorendo gli affitti per chi si trasferisce per lavorare a distanza, per gli immigrati, per gli artigiani che decidono di aprire le loro botteghe», spiega. Beviamo Praesidium, vino Montepulciano dal nome scelto non a caso da un’altra azienda massimalista della tutela, la cantina omonima di Prezze, in bicchieri di ceramica di Castelli, eccellenza artigiana plurisecolare della zona: «Gli americani impazziscono per queste stoviglie, a noi costano di più ed è vietato metterle in lavastoviglie, ma non potremmo scegliere altro», dice. La via del recupero dei mestieri artigiani, oltre che dei luoghi e degli oggetti, è stata di recente scelta anche dal vicino comune di Rocca Calascio, con la sagoma della sua fortezza di pietra bianca che si vede perfettamente da Santo Stefano: è fra le 250 amministrazioni alle quali il Pnrr ha destinato fondi per un miliardo di euro nell’ambito di Next Generation Eu: lì, una nuova scuola produttiva dedicata alle antiche tecniche di tessitura e tintoria, lanciata in collaborazione con la Fondazione Lisio di Firenze, ha inaugurato le attività del progetto “Rocca Calascio – Luce d’Abruzzo”, pensato proprio per costruire un modello di sviluppo integrato e sostenibile per il borgo, dove si aprirà anche una Scuola di perfezionamento per la pastorizia estensiva e un centro enogastronomico. «Questo modello si può replicare, c’è un drammatico numero di borghi abbandonati o semi abbandonati, fenomeno tipicamente italiano, in particolare nel nostro meridione»: anche per questo Kihlgren nel 2008 ha esportato il modello e la filosofia Sextantio a Matera, acquistando dei sassi abbandonati per farne le Grotte della Civita, 18 stanze ricavate quasi tutte nelle grotte del Sasso Barisano, e si appresta a fare lo stesso ancora in Abruzzo, a Martese, borgo arrampicato su una roccia nell’angolo più selvaggio dei Monti della Laga. Nel 2022 ha poi superato i confini italiani dando vita al Progetto Capanne sull’isola Nkombo, nel lago Kivu, in Rwanda, dove si soggiorna in capanne realizzate con tecniche tradizionali, in collaborazione con il Museo Etnografico del Rwanda di Butare: è lì che va una parte degli utili dei Sextantio italiani, per dare accesso a cure mediche e assicurazioni sanitarie alla popolazione locale. In Persia, nella città di Yazd, nello stesso documentario del 1974 Pasolini ricorda di aver visto distruggere molti badgir, millenari e sofisticati sistemi di areazione sotto i colpi della modernizzazione imposta dallo Scià Pahlavi. Il cuore della questione è lì, quale senso dare alla parola “progresso”. Per scoprirlo può bastare seguire la rotta curiosa di una moto.


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