Società

«Vi presento mia moglie», ecco il gruppo dove migliaia di uomini pubblicano foto delle proprie compagne senza consenso

Su Facebook esiste un gruppo pubblico in cui circa 31mila iscritti condividono foto delle proprie compagne, spesso seminude, senza il loro consenso. Si chiama «Mia moglie» e in queste ore è stato segnalato migliaia di volte al social network e alla Polizia Postale con l’obiettivo di farlo chiudere. Il linguaggio che viene utilizzato sotto ogni foto pubblicata non lascia dubbi: «Vi presento mia moglie»; «Questa sera a cena»; «Voi cosa le fareste?»; «Cosa ne pensate»; «Voglia di un cono gelato; «Io so cosa le farei». E si può continuare, purtroppo, molto a lungo. Il rito collettivo è preso servito: i corpi delle donne diventano oggetti di consumo collettivo, si chiama violenza maschile e viaggia sui social senza che nessuno, per ora, debba risponderne. Alcuni degli uomini che commentano e pubblicano le foto hanno profili con nome e cognome, altri scrivono in forma anonima ma si riesce in un passaggio a risalire al profilo originario con cui sono entrati nel gruppo.

A portare alla luce l’esistenza del gruppo è stata l’autrice Carolina Capria, con un post sul suo profilo social L’ha scritto una femmina. «Ieri mi è stata segnalata l’esistenza di un gruppo Facebook di 32mila persone nel quale i membri si scambiano foto intime delle proprie mogli per commentarne l’aspetto in modo esplicito e dar voce alle proprie fantasie sessuali», si legge nel post. «Donne spesso inconsapevoli di essere fotografate per diventare prede di uno stupro virtuale». Il gruppo, che per ora è ancora aperto, non vive solo su Facebook ma ha un canale attivo anche su Telegram dove c’è minore di possibilità di controllo. Di fatto, in Italia, la diffusione non consensuale di immagini intime è considerata un reato, punito dall’articolo 612-ter del Codice Penale, con pene che possono arrivare fino a sei anni di reclusione. Anche chi partecipa con commenti violenti rischia conseguenze legali.

Un caso, che sebbene con dinamiche evidentemente diverse, riporta alla mente quanto accaduto s Gisèle Pelicot, che per oltre dieci anni è stata abusata da ottantatre uomini, contattati dal marito via chat, che la drogava e poi filmava e catalogava tutto. La donna, al termine del processo che ha visto il marito e gli altri stupratori condannati, ha detto: «Aprendo le porte del processo ho voluto che la società potesse trarre vantaggio da quel che si diceva in aula e non mi sono mai pentita della decisione. L’ho fatto perché spero di aiutare le altre donne, le vittime non riconosciute, le cui storie rimangono spesso nell’ombra».

Quello che accade nel gruppo «Mia moglie», richiama la stessa logica di fondo: il consenso delle donne ignorato, il corpo che diventa oggetto e viene offerto come proprietà da condividere, infine l’esibizione pubblica dell’intimità. Sulla vicenda si è espressa anche la fumettista Stefania Lancia, in arte Sted. «Alla luce di ciò chiederei a tutti gli uomini: voi cosa fate per fermare questa merda?Perché mi pare evidente che non fare nulla non sia abbastanza. Non lo è mai stato».

Instagram content

This content can also be viewed on the site it originates from.

Gruppi come questo esistono sui social da tempo. In base ai dati della Polizia Postale, a settembre 2020 erano oltre sei milioni gli uomini iscritti in gruppi simili. «In Italia gli uomini sono circa trenta milioni», continua Sted. «Sei milioni su trenta significa uno su cinque»




Source link

articoli Correlati

Back to top button
Translate »