Economia

Valore Bitcoin, cosa spinge il prezzo e dove può arrivare dopo i record

Da giorni gli occhi della più celebre tra le criptovalute non si staccano dal cielo. La corsa a passo di record di Bitcoin è scattata mercoledì, quando il prezzo ha rotto per la prima volta il muro dei 112 mila dollari. Da quel momento in poi è stato un susseguirsi di impennate. Giovedì, venerdì e l’ultima e più vistosa quella di lunedì scorso, in concomitanza con l’inizio della “Crypto Week” chiusasi con l’approvazione del Genius Act, quando Bitcoin ha raggiunto il picco oltre i 122 mila dollari. E poco contano le correzioni in negativo degli ultimi giorni, con il rigurgito dell’inflazione Usa che ha fatto da temporaneo ostacolo anche per l’asset digitale, perché gli analisti come Linh Tran di XS.com o David Pascucci di XTB sono convinti che il trend rimanga assolutamente rialzista.

Lo dicono le percentuali: da inizio anno il prezzo della valuta digitale è salito del 30%, da novembre dell’anno scorso addirittura del 75%. È evidente che l’arrivo di Donald Trump allo studio ovale, con la sua linea sfacciatamente pro cripto, ha creato un ambiente favorevole per lo sviluppo non solo di Bitcoin, ma in generale degli asset digitali. Tuttavia, dietro un’ascesa tanto rapida deve esserci qualcosa di più. Una concomitanza di eventi, che meritano di essere analizzati nel dettaglio.

L’appetito per il rischio muove i mercati

Prima di tutto c’è il contesto da considerare. Il rally di Bitcoin è sì vistoso, ma non è un caso isolato. Da giorni Wall Street viaggia a passo spedito: Nvidia ha raggiunto per la prima volta nella storia una capitalizzazione di mercato oltre i 4 mila miliardi di dollari; S&P500 e Nasdaq, cavalcando l’intelligenza artificiale, viaggiano su nuovi massimi. Gli investitori non si sono scomposti davanti ai dazi di Donald Trump e si sono fatti prendere da un rinnovato appetito per il rischio.

A guadagnarne è stato chiaramente anche Bitcoin, che ora vede tra i suoi fan sempre più investitori istituzionali, attratti dal rinnovato desiderio di chiarezza normativa e dall’arrivo sul mercato di strumenti regolamentati.

La zampata degli Etf nella corsa delle cripto

Nelle barriere abbattute dalla criptovaluta c’è poi lo zampino degli Etf spot. Da quando l’autorità di vigilanza del mercato Securities and exchange commission (Sec) ne ha dato il via libera, a gennaio dell’anno scorso, le performance di Bitcoin sono state sostenute dagli investimenti fatti in questi strumenti. Come evidenza una ricerca di Deutsche Bank, gli Etf tematici statunitensi hanno attirato flussi per oltre 35 miliardi di dollari nel 2024, superano i 55 miliardi a metà del 2025. Giovedì scorso hanno raccolto 1,17 miliardi di dollari in un solo giorno.

Giusto per fare un confronto: l’Etf iShares Bitcoin Trust di BlackRock, lanciato a gennaio 2024 dopo il sì della Sec, l’11 luglio deteneva 80 miliardi di dollari. L’Spdr Gold Shares, il più grande Etf sull’oro, ha impiegato 15 anni per raggiungere un analogo livello di asset in gestione.

Sempre più favorevole l’ambiente normativo

E poi c’è l’agenda legislativa a stelle e strisce, tutta dalla parte delle criptovalute. Dall’inizio dell’anno le politiche dell’inquilino della Casa Bianca hanno spaziato dall’istituzione di un gruppo di lavoro presidenziale per gli asset digitali, alla creazione di una riserva strategica di Bitcoin. Lunedì è iniziata la ribattezzata “Crypto Week”, la settimana in cui la Camera degli Stati Uniti si appresta a votare tre provvedimenti che aspirano a ridisegnare l’assetto normativo Usa sugli asset digitali: il disegno di legge sulle stablecoin “Genius Act”, quello sulla struttura del mercato Clarity Act e infine l’Anti-CBDC Surveillance State Act che vuole vietare la valuta digitale della banca centrale statunitense.

A guardarsi indietro non è forse un caso che si sia arrivati fino a qui. Nel 2019 l’industria delle cripto ha speso più di 119 milioni di dollari per sostenere candidati al Congresso degli Stati Uniti favorevoli alle loro istanze. A giudicare dal cambio d’approccio, verrebbe da dire: soldi ben spesi.

Tutto il mondo guarda alle criptovalute

L’America di Trump in realtà non è sola. In Europa la legislazione Mica per la regolamentazione delle criptovalute è in vigore da dicembre, mentre nel Regno Unito la Financial conduct authority ha pubblicato ad aprile la sua prima bozza di proposta di quadro normativo. Persino in Cina, storicamente contraria al trading di criptovalute, l’autorità di regolamentazione dei beni statali di Shanghai sta valutando una stablecoin basata sullo yuan per contrastare l’ascesa di una stablecoin statunitense.

Le imprese, poi, sono sempre più orientate verso Bitcoin per trarre profitto da liquidità extra, depositandoli nelle proprie riserve. E non solo operatori affermati come Tesla o Strategy, ma anche aziende tradizionali di consumo come la Beck & Bulow di Santa Fe (nel New Mexico) e la società giapponese di servizi alberghieri Metaplanet.

Bitcoin è sempre meno volatile

Fa notare Deutsche Bank come ci sia infine un altro aspetto degno di nota: “L’ascesa di Bitcoin è stata accompagnata da un calo storico dei livelli di volatilità”. La narrativa su Bitcoin sta cambiando e sono precisi fattori macroeconomici a favorirne il processo di stabilizzazione in corso. L’indebolimento del dollaro, la persistente incertezza tariffaria e lo scontro in atto tra Casa Bianca e Fed hanno dato il via a quella che viene definita de-dollarizzazione, spingendo gli investitori (anche istituzionali) verso asset alternativi, tra cui anche la criptovaluta. Le riserve cinesi di titoli del Tesoro Usa sono diminuite di 57 miliardi di dollari nel 2024, arrivando a 759 miliardi, e ci sono governi che stanno seriamente valutando l’idea di utilizzare Bitcoin come asset di riserva. Stati Uniti in primis, ma pure la Repubblica Ceca e da poco anche l’Ucraina, dove è stato depositato un disegno di legge in Parlamento. Dallo scoppio del conflitto, Kiev ha accumulato 46.351 Bitcoin.


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