Una terapia promette di salvare le funzioni cognitive dei malati di Alzheimer
Preservare le funzioni cognitive anche nei malati di Alzheimer annullando gli effetti più invalidanti di questa terribile malattia. È la speranza collegata a una rivoluzionaria terapia, sviluppata da un team di ricercatori guidati dalla School of Medicine dell’Università della California San Diego, che ha pubblicato i risultati del proprio lavoro su Signal Transduction and Targeted Therapy. La malattia di Alzheimer, che colpisce milioni di persone nel mondo, è caratterizzata dall’accumulo di proteine anomale che causano la morte neuronale e il declino cognitivo.
Attualmente, la demenza di Alzheimer interessa circa il 5% degli individui oltre i 60 anni e, in Italia, si stima che ne siano affette circa 500.000 persone. Si tratta della tipologia più diffusa di demenza senile, una condizione legata a un deterioramento delle funzioni cerebrali che compromette seriamente la capacità del paziente di svolgere le attività quotidiane. La malattia danneggia la memoria e le capacità cognitive, influendo anche sul linguaggio e sul pensiero. Inoltre, può causare ulteriori disturbi come confusione mentale, alterazioni dell’umore e disorientamento nello spazio e nel tempo.
Il nuovo approccio mira a fermare o addirittura invertire la progressione della malattia modificando direttamente l’attività delle cellule cerebrali. Molti trattamenti in fase di sviluppo cercano di contrastare i depositi proteici dannosi per il cervello, ma la nuova terapia tenta un altro approccio. Si tratta infatti di una terapia genica che agisce riprogrammando il comportamento delle cellule cerebrali malate. Ipoteticamente potrebbe non solo rallentare, ma fermare o invertire la progressione della malattia. Gli esperimenti condotti su cavie hanno dimostrato che somministrare la terapia nella fase sintomatica della malattia preserva la memoria dipendente dall’ippocampo, una funzione cognitiva cruciale spesso compromessa nell’Alzheimer.
I topi trattati mostravano un pattern di espressione genica simile a quello di topi sani, suggerendo che la terapia può riportare le cellule malate a uno stato più sano. Il trattamento utilizza un vettore virale adeno-associato per introdurre il gene SynCav1 nella regione ippocampale, proteggendo la plasticità neuronale e le strutture di membrana essenziali per la funzione cerebrale. Questi effetti neuroprotettivi si sono osservati indipendentemente dalla riduzione delle placche di proteine che causano la malattia, indicando un meccanismo d’azione innovativo focalizzato sulla neuroplasticità.
Sebbene siano necessari ulteriori studi per applicare la terapia all’uomo, si tratta di un promettente approccio per mitigare il declino cognitivo e promuovere la salute cerebrale nei pazienti con Alzheimer. In sintesi, lo studio apre nuove prospettive terapeutiche, puntando a intervenire direttamente sulle cellule cerebrali malate per contrastare la neurodegenerazione, con risultati significativi già dimostrati in modelli preclinici.
Gianmarco Pondrano Altavilla
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