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Una storia che ha sconvolto la Francia. E la nuova Marianna è un’eroina globale


Una storia che ha sconvolto la Francia. E la nuova Marianna è un'eroina globale

Dopo la sentenza (storica) e la parole dei giudici, è la vittima che parla. Ad ascoltarla, all’uscita dal tribunale scortata dalla polizia, c’è una folla di uomini e donne. Giovani e meno giovani. Da settimane seguono il viatico di Gisèle Pelicot, la 72enne riuscita a ribaltare la psicologia della violenza sessuale attraverso ciò che l’accusa ha definito un «testamento per le generazioni future»: non è la vittima a doversi vergognare, ma lo stupratore.

Sembra una banalità. Eppure così non è, se per larga parte dei francesi quello celebrato ad Avignone era già dal primo giorno considerato il processo del secolo. «All’inizio parlavamo di Dominique, l’orco, poi abbiamo scoperto la forza di questa donna», taglia corto una delle corrispondenti della Bbc.

Gisèle ha scosso le coscienze, tanto da meritarsi l’attenzione di 76 media extra-Esagono accreditati permanentemente fino alla sentenza di ieri: 350 giornalisti, dal New York Times al britannico Guardian fino alla Bbc, che al suo impegno dedicherà un documentario e l’ha inserita nella top 100 delle donne più influenti dell’anno.

«Rispetto la sentenza», ha detto uscendo. Molti, invece, fuori chiedevano pene più severe per gli sconosciuti reclutati dal marito per stuprarla. Le femministe, presenti ad Avignone, la esaltano in coro come icona: «Merci, Gisèle!». Per il coraggio: per aver denunciato gli abusi subìti, aver chiesto che venissero mostrati i video nella loro crudezza, di un sonno tossico provocato da sedazione in cui veniva abusata «come una bambola di pezza». Così ha trasformato un affaire di umiliazione e sottomissione (che sarebbe potuto restare nell’ombra se non fosse stato per una leggerezza del marito, sorpreso da una guardia di sicurezza privata a filmare di nascosto sotto le gonne di alcune clienti con il suo cellulare in un supermercato di Carpentras, ciò che ha condotto alla perquisizione del loro appartamento) in un inno collettivo a denunciare le violenze sessuali in tutte le forme. «Aprendo le porte di questo processo il 2 settembre ho voluto che la società potesse partecipare ai dibattimenti in aula, non mi sono mai pentita di questa decisione, ora ho più fiducia nella nostra capacità di percepire collettivamente un futuro in cui tutti, donne e uomini, possano vivere in armonia nel rispetto reciproco».

Nessuna vergogna, ripete. Questo il messaggio. Il caso Pelicot ha contribuito a far credere (un po’ di più) nella giustizia, a dar forza alle donne, a farle sentire meno sole tra le mura domestiche e in strada; a spronare gli uomini che vedono o sanno qualcosa (o che per anni hanno magari taciuto) a denunciare. «È stata una prova difficile – ha detto Gisèle uscendo dal tribunale – ho sempre pensato ai mie tre figli e ai miei nipoti, è per loro che ho portato avanti questa lotta, per le famiglie toccate da questi drammi, per le vittime non riconosciute le cui storie restano nell’ombra, condividiamo la stessa battaglia».

Poi la donna ringrazia «i testimoni e chi mi ha dato la forza d’affrontare lunghe udienze». Giornate iniziate lo scorso 2 settembre in cui si è vista passare davanti filmati e imputati (uno ieri ha perfino rivolto il dito medio alla folla).

Da inerme nel suo letto, fino all’elettrochoc dato alla società. Il quotidiano spagnolo El Paìs parla di lei come «nuova Marianne»; l’edizione tedesca di Vogue l’ha messa in copertina con lo slogan «No more shame», niente più vergogna.


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