Una Scienza politica partigiana della democrazia
Ci ha lasciati, due giorni fa, Leonardo Morlino, uno degli scienziati politici più autorevoli che l’Italia abbia avuto nel secondo dopo-guerra. Leonardo era professore emerito di Scienza politica alla Luiss, dove ha insegnato a lungo, assolvendo anche compiti di leadership accademica di grande rilievo, come il pro-rettorato alla ricerca scientifica. Prima che alla Luiss, Leonardo aveva insegnato alla (allora) Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri”, Facoltà dove si era formato come studioso collaborando con Giovanni Sartori, il padre fondatore (insieme a Norberto Bobbio) della Scienza politica italiana. Leonardo è stato uno degli studiosi italiani di Politica comparata tra i più noti ed apprezzati internazionalmente, negli Stati Uniti (dove aveva lavorato con Robert A. Dahl a Yale) ma anche in America Latina, dove i suoi volumi sono diffusamente tradotti e adottati nella facoltà di scienze politiche e sociali del continente. Leonardo ha aperto strade nuove per la ricerca scientifica. Basta pensare alle sue ricerche sulla qualità della democrazia, sulle transizioni dai regimi autoritari a quelli democratici, sulle conseguenze dei processi di europeizzazione negli stati membri del sud dell’Europa integrata. In ognuna di quelle ricerche, Leonardo si era focalizzato sul ruolo degli “ancoraggi politici” (partiti, gruppi, leader) nel garantire la qualità democratica o il consolidamento di una transizione democratica. La sua analisi non era mai fredda, in quanto guardava al ruolo degli attori, non solamente ai condizionamenti dei processi e delle strutture. Con una forte sensibilità metodologica, Leonardo ha introdotto innovazioni rilevanti nei metodi della ricerca comparata, sempre impegnato a dare un fondamento empirico a quest’ultima. Per lui, la scienza non era un’opinione.
Come scrisse in un memorabile contributo sullo stato della scienza politica italiana, per Leonardo era necessario preservare con determinazione la distinzione tra Scienza politica e politologia. I cultori della prima, scrisse, ragionano sulla base di concetti, categorie, modelli, mentre i cultori della seconda si limitano a descrivere il quotidiano, aggiungendo poco o nulla a ciò che il giornalismo politico di qualità ci fa conoscere. Leonardo non amava i dilettanti allo sbaraglio, chi improvvisa una competenza che non ha, come non li amava il suo maestro Giovanni Sartori. Nello stesso tempo, Leonardo era anche sospettoso degli scienziati politici che entravano e uscivano dalla politica, come in una rotating door. Per lui, la sovrapposizione tra «Scienza politica” e “Politica” finiva per confondere i loro distinti ambiti sociali (oltre che epistemologici), politicizzando la prima e tecnicizzando la seconda. Perdendo il distacco weberiano dall’oggetto di studio, oltre che dai valori perseguiti dagli attori politici che ne fanno parte, lo scienziato politico si trasformava in un “intellettuale militante” (a favore della sinistra o della destra non ha importanza), nel partigiano di una causa, nel razionalizzatore delle scelte di un partito (o di un leader). Gli studiosi debbono parlare all’opinione pubblica, ci siamo detti più volte, ma in quanto studiosi, traducendo le loro competenze in un linguaggio comprensibile, ciò nondimeno educativo. Quello che aveva imparato da Sartori, era che la Scienza politica doveva essere “partigiana” della democrazia e del costituzionalismo liberale, prima di collocarsi da una parte o nell’altra del sistema politico. Lo scienziato politico deve promuovere una prospettiva sistemica sui problemi che sono oggetto di dibattito e confronto politici, sostenendo riforme o contrastando contro-riforme sulla base di una prospettiva generale, non parziale. Solamente così può essere socialmente utile, a chi fa politica e all’opinione pubblica. Dopo tutto, la politicizzazione (cioè, la partigianeria) delle scienze sociali italiane (in discipline come la storia e la sociologia) era da considerarsi la causa della loro relativa marginalità nelle rispettive comunità scientifiche internazionali. Il sostegno di Leonardo è stato cruciale per favorire i processi di internazionalizzazione, a Roma come a Firenze, contro le resistenze dei sostenitori dell’università tradizionale (chiusa in sé stessa, refrattaria verso la valutazione esterna, conservativa in quanto corporativa). Leonardo lascia molti allievi e collaboratori con cui ha portato avanti i progetti di ricerca. Con ognuno di loro è stato generoso nei consigli, negli aiuti, nel tempo a loro dedicato. Lascia Emilia e due figlie, eredi dell’amore per la scienza trasmessa loro dal padre.
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