Una pallottola spuntata, la recensione del film con Liam Neeson
Una pallottola spuntata è tornato al cinema, ma non è un remake. Questo film che sembrava una nuova ripartenza, un revival rischiosissimo, si è rivelato in realtà il seguito di una delle saghe comiche più famose di sempre. In pochi possono dire di non aver mai visto uno dei film con protagonista Leslie Nielsen. Un po’ ci sono passati tutti, anche le nuove generazioni, che hanno fatto in tempo a vedere i primi capitoli in televisione e ad apprezzare Nielsen in altri film deliberatamente grossolani e sciocchi, come il terzo e il quarto capitolo di Scary Movie, in cui interpreta un’imprevedibile versione del presidente degli Stati Uniti. La saga si era conclusa temporaneamente nel 1994, con Una pallottola spuntata 33⅓ – L’insulto finale, tra i mugugni di chi continuava a paragonare quest’ultimo film al primo capitolo senza riuscire a ritrovarne la stessa forza comica. A distanza di 31 anni, Liam Neeson ha scelto di farsi carico del difficile compito di sostituire Nielsen, riportando in sala un classico del cinema comico: come se l’è cavata? Alla grande.
Prima di parlare del film occorre fare una doverosa premessa. Sarà forse scontato, ma per godersi appieno questo nuovo corso della parodia poliziesca più famosa di sempre bisogna dimenticarsi di ogni possibile confronto e paragone: il tenente Frank Drebin interpretato da Nielsen è unico e inarrivabile. Lo sanno bene tutti e lo sanno bene anche i produttori, che hanno deciso di non affidare a Neeson lo stesso personaggio, ma di costruirne un erede in senso stretto. Liam Neeson interpreta infatti il figlio del tenente, Frank Drebin Jr., che – con la stessa vocazione del padre – ha deciso di indossare la divisa della squadra di polizia e risolvere intricati misteri. Drebin Jr. è un poliziotto con un profondo senso del dovere, ma del tutto inconsapevole dell’assurdità che lo circonda. Come il padre, si ritrova in situazioni estremamente comiche, che affronta però con assoluta, e surreale, serietà. Più che scemo, è totalmente ingenuo: prende ogni parola e ogni evento alla lettera, scatenando gag continue. In mezzo a questo scenario surreale, Drebin Jr. affronta una minaccia globale: un piano di distruzione ideato dal miliardario e megalomane Richard Cane, interpretato da Danny Huston. Cane ha sviluppato un congegno chiamato P.L.O.T. (Primordial Law of Toughness, che è casualmente al centro della trama – del plot, appunto), progettato per diffondere caos e innescare un sanguinoso eccesso di violenza, che porterà i sopravvissuti a governare sul mondo. Drebin dovrà smascherarlo e fermarlo, ma lo farà nel suo modo caotico e involontariamente esilarante. Pamela Anderson è Beth Davenport, la femme fatale che ruberà il cuore del tenente e si rivelerà cruciale nella storia.
L’unica domanda che ci si può porre quando ci si approccia con diffidenza a un film comico è una soltanto: si ride o no? La risposta è sì, si ride eccome. Lo scetticismo è più che comprensibile: è normale pensare che alcune battute degli anni ’80, fatte di doppi sensi e altre assurdità, possano non funzionare più. Ma questo film è pronto a farci ricredere. Guardandolo si entra in uno strano meccanismo per cui più una battuta è stupida e banale, più fa ridere. È una vera e propria sagra dell’assurdo, in cui ogni scena è una gag demenziale, o forse l’intero film è un’enorme gag demenziale. Il tono comico non è affatto cambiato: il film si muove costantemente nella dimensione parodistica, prendendo in giro i cliché dei film polizieschi americani, che, anche a distanza di trent’anni, rimangono sempre gli stessi. Le battute sono scorrette ed esagerate, ma la comicità non si limita ai soli dialoghi: è portata all’estremo anche da scene visivamente irrazionali. La pellicola, diretta da Akiva Schaffer e prodotta da Seth MacFarlane – autore dei Griffin e American Dad – è inevitabilmente impreziosita dalla presenza di Liam Neeson come protagonista. Sono bastati i primi minuti del film per spazzare via ogni possibile dubbio sulla sua performance, rendendo assolutamente onore al suo predecessore senza mai scimmiottarlo.
In un periodo caratterizzato da una profonda nostalgia, e forse anche da una certa carenza di idee originali, Una pallottola spuntata si conquista il suo posto nel ristretto gruppo delle «operazioni nostalgia riuscite». Ora sotto a chi tocca: quale sarà il prossimo malinconico sequel o remake che ci verrà proposto?
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