una nuova tettoia alla Dozza
Cosa vuoi che sia una porzione d’ombra quando il sole picchia forte o un posto asciutto quando piove? Una sciocchezza, pare, ma è possibile che in alcuni luoghi non sia così: ed ecco perché è tanto preziosa quella tettoia coperta che da oggi se ne sta lì, fiera e stabile, lungo il campo da calcio della casa circondariale della Dozza dove ogni giorno i detenuti possono allenarsi e giocare. Un’idea del vescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi, realizzata dalla Acli e sostenuta con un contributo economico derivato dai dividendi Faac, che il Cardinale ha deciso di destinare totalmente a opere di carità. Un progetto all’apparenza semplice, ma che di fatto ha richiesto tanto tempo e tante energie, come ogni cosa che vuole svilupparsi all’interno di un luogo complesso e pieno di regole necessarie, raccontato sempre più per le problematiche che contiene che per i passi avanti.
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La direttrice della casa circondariale Rosalba Casella ha spiegato cosa significa questa opera per via del Gomito: “Lo sport è uno degli elementi attraverso i quali si fa trattamento. In questi anni abbiamo tentato di incentivarlo notevolmente, anche perché è cambiata la popolazione detenuta e ci sono molti più giovani, anche stranieri, che attraverso lo sport riescono ad abbassare il livello di tensione che la detenzione inevitabilmente crea, a introiettare modelli relazionali sani. Lo sport ha dato una mano anche a stemperare le tensioni, in senso lato a migliorare il benessere delle condizioni detenuti, naturalmente, per quanto è possibile, perché poi la struttura ha una serie di limiti. Ma visto che abbiamo questo spazio assolutamente utilizzabile, è giusto che lo si valorizzi. Avere una tribuna coperta consente di far partecipare alle iniziative sportive una parte di detenuti anche come spettatori. Il campo è assolutamente assolato, quindi costringere a guardare gli altri giocare a queste temperature era veramente faticoso. Questo è un tassello che migliora la vita dei detenuti all’interno dell’istituto e non posso che ringraziare le Acli, la Curia e tutti coloro che hanno consentito la realizzazione di questo progetto”.
Lo sport come opportunità per i detenuti: “Così si riduce il tempo vuoto”
Perché praticare sport, per i detenuti, rappresenta un’opportunità? Lo spiega Antonio Ianniello, garante per i diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna: “Lo sport è un elemento fondamentale del trattamento delle persone detenute e laddove ci siano le condizioni, è bene che si importino dalla società esterna quei pezzi di vita che fanno parte dell’ordinarietà, che ogni tipo di attività trattamentale va a riempire di contenuti di qualità quella che è l’esperienza detentiva. Laddove ci sono tutta una serie di attività, si riduce il tempo vuoto che le persone detenute devono passare sostanzialmente nelle celle a non fare nulla. E lo sport sicuramente, alla luce appunto di quelle che sono le regole, alla luce di quello che è fondamentale rispetto dell’avversario, può sicuramente in termini, appunto, di legalità, dare un contributo importante a ri-orientare la vita di queste persone. È un punto imprescindibile nella misura in cui tutte le persone, anche se soggette a una temporanea condizione di privazione di libertà personale, mantengono, diciamo così, la fondamentale dignità umana che deve essere rispettata al netto di quello che può essere un periodo detentivo. E poi in un’ottica squisitamente rieducativa sono tutte persone che a un certo punto ritorneranno in società e quindi se noi costruiamo e strutturiamo una detenzione che possa essere un momento per responsabilizzarsi per acquisire degli strumenti, già avremmo fatto un pezzo importante nel momento in cui queste persone dovranno necessariamente poi tornare alla vita libera”.
A colloquio con i detenuti: così si vive e si muore alla Dozza
Quel “tetto” che sembra poco, ma che è molto
“Ci abbiamo messo molto tempo perché non è stato semplice. – spiega la presidente delle Acli Chiara Pazzaglia – L’idea nasce in realtà dal nostro vescovo Zuppi che una volta ci aveva accompagnato una partita e ci ha raccontato di questa difficoltà dei tenuti nel non poter giocare o riposare con tutti i tempi, quindi col gran caldo d’estate, con la pioggia in inverno. Si era posto questo problema, noi abbiamo trovato una soluzione, l’abbiamo interpellato e grazie a un contributo raccolto con i fondi della Faac ci ha ci ha aiutato a realizzare questo nostro proposito. Questa sembra una piccola opera, in realtà davvero consente a tante persone che vivono ristrette nel carcere di poter usufruire degli impianti sportivi in orari e con condizioni meteorologiche che prima rendeva impensabile l’utilizzo”.
Oltre i goal: un calcio agli errori commessi
Un mister appagato dal percorso intrapreso con i detenuti della Dozza: Giovanni Sgobba, l’allenatore di calcio della Dozza in poche parole riesce a raccontare cosa significhi fare il mister in questo contesto: “Lavorare con persone che per vari motivi si trovano in una casa circondariale dà modo di poterli far svagare nello spazio orario previsto e nello stesso tempo, per quanto mi riguarda, ho avuto modo di consegnare loro, oltre alle competenze in ambito sportivo, anche la mia esperienza personale di vita in un confronto onesto con loro, uomini che hanno commesso qualche ma non è detto che nel loro percorso debbano dover continuare a vivere con una etichetta cucita addosso. Al di là dei goal, questa resta la cosa più importante”.
Perché il benessere delle persone detenute deve starci a cuore
Un concetto semplice, ma sempre difficile da metabolizzare: perché alla società dovrebbe importare delle persone detenute? Intanto certo, sono i padri e le madri, i fratelli e le sorelle, gli amici cari di qualcuno. Ma questo concetto, come spiega bene il garante Antonio Ianniello, si tratta di un punto imprescindibile: “Tutte le persone, anche se soggette a una temporanea condizione di privazione di libertà personale, mantengono la fondamentale dignità umana che deve essere rispettata al netto di quello che può essere un periodo detentivo. E poi in un’ottica squisitamente rieducativa sono tutte persone che a un certo punto ritorneranno in società e quindi se noi costruiamo e strutturiamo una detenzione che possa essere un momento per responsabilizzarsi per acquisire degli strumenti, già avremmo fatto un pezzo importante nel momento in cui queste persone dovranno necessariamente poi tornare alla vita libera”.
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