Società

Una figlia è il dramma di una famiglia in cui può avvenire l’impensabile (e che per questo ci ricorda Adolescence)

Una figlia, il nuovo film di Ivano De Matteo, arriva sulla scia del fenomeno Adolescence, miniserie Netflix che ha scosso il pubblico di ogni parte del mondo, oltre a riaccendere l’opinione pubblica sull’educazione dei più giovani, in un momento storico particolarmente caratterizzato dalla violenza sociale e online che porta ad esiti tragici. Sebbene l’opera, scritta insieme a Valentina Ferlan e liberamente ispirata al romanzo Qualunque cosa accada di Ciro Noja, si discosti per nazionalità e tematiche dal prodotto della piattaforma, è un filo rosso a legare i due racconti.

Se da una parte c’è un tredicenne che ha accoltellato una sua compagna di scuola sotto probabilmente l’influenza della cultura machista e patriarcale che si respira nella manosfera, dall’altra la pellicola di De Matteo vede la protagonista Sofia – interpretata da Ginevra Francesconi – compiere un gesto estremo e irreversibile in preda a un momento di rabbia e confusione, causata da una perdita che non è stata in grado di elaborare. In entrambi i casi è l’incapacità di saper gestire le proprie emozioni a segnare destini funesti. Tanto nella miniserie quanto nel film non è l’indagine delle colpe o delle cause che si ricerca, è piuttosto l’accompagnare i personaggi in un percorso di accettazione e comprensione che può essere a volte lacerante tanto quanto (sebbene non di più) ciò che si è commesso. Non cercando scuse o soluzioni, ma intraprendendo con lucidità un percorso di analisi.

Che genitori si decide di essere?

Una figlia, proprio come Adolescence, non si ferma alla condizione e allo stato d’animo dei suoi giovani protagonisti, ma amplia lo spettro dei sentimenti e delle sofferenze subite anche da chi sta loro attorno. In ambedue i prodotti i genitori non vengono rappresentati come figure oppressive o violente, né assenti oppure menefreghiste. Sono persone come tante, poiché è esattamente questo il dolore più forte che i due racconti vogliono trasmettere: rendere chiaro che, per quanto possiamo credere che certi eventi o comportamenti non ci riguardino, in realtà ciò che avviene può accadere a tutti, come e quando non te lo aspetti.

Una figlia è il dramma di una famiglia in cui può avvenire limpensabile

Qualcosa che fa male proprio perché inatteso, perché si è creduto di essere stati bravi a crescere i propri figli, non considerando che ben presto sono strade del tutto impreviste quelle che questi ultimi possono finire per intraprendere, e che è esattamente in quelle parentesi ancora più difficili e ostiche che si deve decidere da che parte si vuole stare e, soprattutto, che genitori si vuole essere. Se si sceglie di buttare la spugna, di rinnegare qualcuno o qualcosa, oppure perseverare e tentare di provare quell’amore che per un figlio dovrebbe sempre essere incondizionato.

Perdonare o non perdonare?

In Adolescence i personaggi di Stephen Graham e Christine Tremarco si interrogano sul ruolo che hanno avuto nell’omicidio compiuto dal figlio tredicenne, loro che non ne sono responsabili, ma al contempo sono gli stessi che lo hanno messo al mondo. È ciò che deve affrontare Stefano Accorsi in Una figlia nei panni del padre Pietro, che, esattamente come il personaggio di Francesconi, ha un ruolo centrale nel film di Ivano De Matteo. Sondare un’emotività che oscilla dall’essere genitore all’essere semplicemente un uomo, scavare dentro di sé per capire quanto si riuscirà a perdonare quell’unica figlia o se è meglio rimanerne lontani e distaccati, vivendo in solitudine e sconcerto le continue perdite di fronte a cui costringe la vita.

Né il film di De Matteo né lo show Netflix vogliono risultare dogmatici. Ed è qui che entrambi rischiano: non danno alcun conforto, alcuna reale spiegazione o risoluzione ai protagonisti. Non resta altro che ascoltare, cercare di capire, andare avanti. E il perdono, forse, prima o poi potrà arrivare.


Source link

articoli Correlati

Back to top button
Translate »