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Un tuono nella memoria: la prima volta di Oklahoma, nuova regina dell’Nba

Non ci sono stelle (star) nel cielo di Oklahoma, ma tuoni (thunder). Per la prima volta la squadra di basket della città, Oklahoma City Thunder (Oct), vince il titolo Nba battendo in gara 7 gli Indiana Pacers (103-91) che devono quasi subito fare a meno del loro asso Tyrese Haliburton. Avete capito bene: power to the people. Nessun big, nessun gigante dei canestri, niente LeBron James o Steph Curry e neanche Jayson Tatum. Ma solo lampi di felicità dopo trent’anni di dolore.

Il furgone Ford di McVeigh

Questo voleva Oklahoma: far capire che con lo sport si può ricordare, celebrare, senza dimenticare o cancellare. Fu un brutto boato a scuotere la città nel 1995. Erano le 9 di mattina del 19 aprile quando Tim McVeigh, un reduce della Guerra della Golfo, parcheggiò il furgone Ford F-700 davanti al palazzo Alfred P. Murrah, in centro. L’edificio di nove piani ospitava quattordici agenzie federali, uffici di reclutamento per l’esercito e per il corpo dei Marines, un asilo. McVeigh dentro il camion aveva messo una bomba costruita manualmente con più di 2.300 kg di fertilizzante a base di nitrato d’ammonio, miscelato con circa 540 kg di nitrometano liquido e 160 kg di Tovex, un esplosivo usato nell’industria mineraria. Alle 9.02 quel camion saltò in aria. Il botto fu sentito fino a 89 km di distanza. L’ordigno distrusse l’intera facciata nord dell’edificio federale danneggiando altri 324 palazzi in un raggio di 16 isolati e l’onda d’urto accartocciò 86 veicoli. Ogni piano collassò su quello sottostante, trovare i superstiti fu difficile e pericoloso, i soccorritori rischiavano di restare seppelliti da altri crolli. Sei anni prima dell’11 settembre l’America subiva il peggior attacco terroristico della sua storia: 168 morti, tra cui 19 bambini, uno di soli sei mesi, più di 672 feriti.

Il suprematista bianco e la vendita delle armi

Un’ora e 18 minuti dopo l’esplosione, un agente della polizia stradale di Oklahoma ferma per caso un ragazzo alla guida di un’auto senza targa. È alto e magro, con i capelli rasati, ha un fucile carico e un porto d’armi non valido. L’indomani viene ritrovato a un isolato di distanza il semiasse del furgone usato come bomba. L’auto è stata noleggiata due giorni prima in Kansas da McVeigh. Ci sono testimoni che lo riconoscono. È un terrorista, un suprematista bianco, è convinto che il governo voglia abolire la vendita delle armi e lui è contrario. Sarà condannato a morte nel ’97 e giustiziato nel 2001 in un carcere dell’Indiana.

I Thunder e un’età media di 25 anni

I Thunder sono la seconda squadra più giovane degli ultimi 70 anni a vincere una finale, con un’età media di 25 anni, dietro ai Portland Trail Blazers, campioni del 1976-77. E sono quelli che hanno giocato con il ritmo più veloce per tutta la stagione, play-off compresi. Hanno vinto 68 partite di regular season (quinto posto nella storia Nba), stabilito un record per margine medio di successi (12,9 punti a partita) e Shai Gilgeous-Alexander, abbreviato in Sga, 26enne canadese, è stato premiato come miglior giocatore della stagione regolare e delle finali (29 punti in gara 7).

Il coach: “Bisogna saper giocare nel fango”

Quasi tutta la squadra non era nata quando ci fu l’attentato però i ragazzi hanno sempre detto: “Vincere il titolo nell’anno del 30° anniversario sarebbe un simbolo”. Oklahoma è (era) un puntino nella mappa americana, non uno stato dove vai per turismo, è uno small market come dicono quelli che si intendono di audience, non fa vendere, non ha prestigio, non profuma di mito, non ha il tramonto sul Grand Canyon, ha appena quattro milioni di abitanti, meno della metà di New York, e non ha immaginario anche se Francis Ford Coppola negli anni Ottanta ci girò due film (a Tulsa). Anche i Thunder non erano molto attraenti: niente glamour, figurarsi lo showtime, nessun narcisismo, ma una difesa micidiale e asfissiante. Bravi a rubare palloni, a tuffarsi per recuperarli come Alex Caruso (a 31 anni è il più vecchio del team) in gara 5, il giocatore Nba che ha passato più secondi (27) a terra nei play-off. “Bisogna saper giocare nel fango” è stato lo slogan del giovane coach Mark Daigneault che siede sulla panchina da dieci stagioni e ha vinto il titolo a 40 anni e 119 giorni. E che sull’attentato dice: “È stato un evento senza precedenti, la città è stata scossa nel suo cuore, ma lo è stato anche il paese in un’epoca più intrisa di innocenza di quanto non lo sia oggi”.

L’effetto Gilgeous-Alexander

Oklahoma era la squadra povera, brutta e cattiva. Ora festeggia un successo senza paillettes, ma pieno di gioventù e di futuro. Se cercate i numeri: 377 i punti di Shai Gilgeous-Alexander (30,6 di media) e di Jalen Williams (23,6) nelle sette partite della finale. Sono stati superati nel 21° secolo solo dal duo di Cleveland formato da LeBron James e Kyrie Irving nel 2016 (398). Le palle rubate da Caruso nelle finali sono 17, è il totale più alto della storia per un giocatore che entra dalla panchina. I Thunder sono stati la squadra che ha rubato più palloni in questi playoff (10,6 a partita). Tre dei suoi titolari non sono statunitensi: i canadesi Lu Dort e Shai Gilgeous-Alexander e il tedesco di doppio passaporto Isaiah Hartenstein. E sono la settima squadra diversa a diventare campione Nba in sette stagioni dal 2019 e dal successo dei Toronto Raptors. A riprova che il sistema professionistico americano ama e favorisce la competitività piuttosto che le dinastie.

Il giardino delle 168 sedie vuote

Se volete i sentimenti: il memoriale che ricorda la tragedia si trova a un chilometro dallo stadio dove giocano i Thunder e tutti i giocatori vanno a visitarlo. C’è un giardino con 168 sedie (The Field of Empty Chairs) che rappresentano ciascuna delle persone uccise nell’attentato. Sam Presti, general manager della squadra, quello che ha puntato su ragazzi sconosciuti, fa parte del comitato esecutivo del museo. È lui che non voluto una squadra di stella, ma di tuoni: “Una città e un team sono la stessa cosa, tutti devono correre in aiuto degli altri”. L’altra notte allo stadio c’era anche PJ Allen, specialistica elettronico dell’Oklahoma City Air Logistic Center. Aveva 18 mesi quel giorno, riportò ustioni di secondo e terzo grado per oltre la metà del corpo, una spalla lussata, un grave trauma cranico e un polmone collassato, gli fecero una tracheotomia per farlo respirare. Il più giovane sopravvissuto. Miracle Baby. Presta servizio civile nella stessa struttura che allora mandò 900 aviatori e più di 20 unità a fornire soccorsi. “Volevo restituire qualcosa”. Quando i canestri non servono per fare punti, ma per rinascere. Miracle team. Perché come rivela Presti: “Abbiamo vissuto il peggio e ora stiamo cercando il meglio”.


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