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Un altro piccolo favore, la recensione del film ambientato in Italia

Guardare Un altro piccolo favore e urlare al trash è sinonimo di una comprensione parziale e superficiale dell’operazione svolta da Paul Feig. Di ritorno ai personaggi interpretati da Blake Lively e Anna Kendrick in Un piccolo favore, basati sul romanzo omonimo di Darcey Bell all’epoca e, ora, sganciati da un supporto letterario e sviluppati liberamente nel sequel sceneggiato da Jessica Sharzer e Laeta Kalogridis, il regista accentua ed esagera ciò che già c’era di accentuato ed esagerato nel primo film, operando del tutto intenzionalmente.

Non a caso la pellicola del 2018 viene appellata dai più come un guilty pleasure, uno di quei prodotti di cui si riconoscono i limiti e gli eccessi, ma con cui non si può fare a meno di divertirsi. È ciò che accade anche col ritorno delle personagge di Stephanie Smothers e Emily Nelson, le quali se prima erano solamente in parte calate in una cornice pop e modernamente melodrammatica, col loro ritorno danno vita a un vero e proprio show per le vie soleggiate di Capri.

Un altro piccolo favore tra matrimoni, omicidi e vecchie amicizie per le vie di Capri

Un altro piccolo favore riprende lì dove avevamo lasciato le protagoniste, con Emily (Lively) in prigione accusata dell’omicidio della sorella gemella e Stephanie (Kendrick) intenta a sfruttare il suo intuito nel true crime per scrivere libri e presentare programmi televisivi. Se non fosse che la “donna senza volto”, come nominata nel libro scritto da Stephanie sulla vicenda che l’ha vista coinvolta insieme a Emily, torna improvvisamente nella sua vita, invitandola al matrimonio con il mafioso italiano Dante Versano (Michele Morrone) e chiedendole di farle da damigella d’onore. Così, come in tutte le amicizie disfunzionali, fatte di minacce e ritorsioni, la donna è costretta ad accettare, prendendo un aereo che la porterà verso l’isola partenopea in cui non solo dovrà cercare di non farsi uccidere da Emily, ma anche di dimostrare la propria innocenza dopo essere stata accusata di essere la colpevole di una nuova serie di preoccupanti omicidi.

Un altro piccolo favore la recensione del film ambientato in Italia

Che il tono di Un altro piccolo favore sia stato falsato dalla nomea che si è fatto il primo film è chiaro fin da una delle sequenze iniziali, quando Stephanie viene rintracciata da Emily e le due si rincontrano per la prima volta niente meno che di fronte ad un pubblico. La mamma/blogger/detective/autrice di libri è pronta per il reading del suo romanzo quando, tacchi alti e passo spedito (ma rigorosamente al rallenty), la sua nemesi entra nel negozio in cui si tiene la presentazione con un’offerta che, visto che il film stesso cita Il padrino, Stephanie non può rifiutare. La conversazione è surreale come lo saranno tutti i dialoghi nel corso dell’opera e, al contempo, perfettamente consapevole della cornice in cui è inserita. Le protagoniste si punzecchiano, si prendono in giro, si rendono conto dell’assurdità in cui sono state coinvolte la prima volta e sono quasi divertite dal poter ripetere la loro improbabile esperienza, compresa Stephanie stessa anche se non lo ammetterebbe mai ad alta voce. C’è ritmo, c’è dinamismo, c’è una dose di nonsense su cui un regista come Feig sa come lavorare e che viene ingigantita mano a mano che la pellicola va avanti.

Un divertissement ambiguo (stra)pieno di thriller e melò

A notazione di questo ci sono gli outfit di Emily/Blake Lively. Lo stile del personaggio della truffatrice assassina era stato uno dei focus ai tempi dell’uscita di Un piccolo favore, diventato nel tempo segno distintivo della pellicola e, perciò, elemento su cui il sequel non poteva esimersi dal puntare. Gli abiti del personaggio accrescono in spazio, tulle, piume e volumi di sequenza in sequenza. Una volontà del film la cui stravaganza viene sottolineata anche dai protagonisti, con Stephanie che in una scena sottolinea l’abbigliamento smodato dell’amica/nemica, che per fare del semplice shopping sfila in gonna nera e camicia bianca impreziosita da mille collane e un cappello la cui tesa è talmente larga da poter coprire l’intera aria di Capri.

Se dunque Un altro piccolo favore sa di essere un divertissement, un inverosimile e perverso gioco tra melò e thriller, allora non gli resta che giocare. Ambiguità, intrighi, trame e sotto trame vengono alimentati da una storia che non ha timore di osare. Anche perché sa bene che il suo principale pubblico non potrà che essere il medesimo che ha trovato nel primo film un autentico (s)cult, ripetendo e pompando se stesso, in attesa magari di un terzo ancora più scabroso, camp e volutamente sciocco capitolo.


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