Uccisa a Napoli a 21 anni, due condanne a 30 anni
agenzia
Per i rapitori di Gelsomina Verde. La disperazione della mamma
ROMA, 07 MAG – Trenta anni di reclusione al termine
di un processo con il rito abbreviato: il gup di Napoli
Valentina Giovanniello ha accolto le richieste dei pm Maurizio
de Marco e Stefania Di Dona e ha condannato Luigi De Lucia e
Pasquale Rinaldi, alias o Vichingo, arrestati il 27 luglio 2023
e ritenuti componenti del commando che assassinò brutalmente la
21enne Gelsomina Verde.
La ragazza venne coinvolta suo malgrado nella prima
sanguinosa faida di camorra di Scampia e ammazzata in maniera
efferata il 21 novembre 2004 durante lo scontro armato tra il
clan Di Lauro e gli scissionisti degli Amato-Pagano.
La madre della vittima, Anna Lucarelli, sempre presente
insieme con l’altro figlio Francesco alle udienze, si è
scagliata contro i condannati, collegati in videoconferenza, ed
è stata accompagnata all’esterno dell’aula del tribunale.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Gelsomina Verde
venne prelevata e portata nel luogo dove poi venne assassinata
da tre persone: una si sedette sul lato passeggero della sua
auto e le altre due – gli attuali imputati, in possesso
dell’arma usata per il delitto – seguirono la vettura di
Gelsomina fino al luogo dove venne assassinata, a colpi di
pistola, da Ugo De Lucia, cugino di Luigi De Lucia, condannato
oggi. Il clan Di Lauro riteneva – erroneamente – che Gelsomina
sapesse dove si stava nascondendo il loro rivale Gennaro
Notturno, detto o’ sarracino e per questo motivo decise di
prelevare di forza e interrogare la giovane. La ragazza, invece,
non era a conoscenza di questa informazione, negò ma non fu
creduta. I sicari però non potevano lasciarla andare e a questo
punto decisero di ucciderla. Poco dopo si accorsero di avere
commesso un grave errore e diedero fuoco all’auto della vittima
con all’interno il suo cadavere.
Cosimo Di Lauro, figlio di Paolo, detto “Ciruzzo o’
milionario”, morto in carcere qualche anno fa, offrì 300mila
euro alla famiglia, proprio per tentate di lavare la macchia che
l’omicidio di Gelsomina aveva impresso sul clan.
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