Tutta questione di algoritmi? | Indie For Bunnies
Nulla di quello che vediamo, quando i nostri occhi cadono sullo schermo di un pc, di un tablet o di uno smartphone, è casuale.
Vediamo quello che, secondo gli algoritmi, ci terrà, il più a lungo possibile, incollati ad una determinata app o a un determinato social, vediamo ciò che desideriamo ardentemente possedere, anche se non ne abbiamo davvero bisogno e vediamo, in generale, tutto ciò con cui ci fa piacere interagire: dalla musica al cinema, dalla tecnologia alla politica. Il problema, però, è che molte persone non hanno alcuna percezione dell’influenza che questi algoritmi predittivi esercitano sulle loro vite, sulle loro scelte quotidiane e sulle loro abitudini. Abbiamo, infatti, a che fare con quella che può diventare una vera e propria forma di subdolo condizionamento, i cui obiettivi possono essere moltplici e molto pericolosi come, ad esempio, manovrare una tornata elettorale, creare dei nemici, interni o esterni, inesistenti oppure accreditare, come verità, quelle che sono, in realtà, solamente delle menzogne, così da poter giustificare le azioni intraprese dai governi e dai singoli leader, anche quelle più odiose, più bellicose e più sanguinarie.
Il mondo della cultura e, in particolare, quello della musica non sono, ovviamente, immuni da queste influenze, anche perché, in un contesto totalmente fluido e digitale, come quello delle piattaforme di streaming, sono gli algoritmi a stabilire, per ciascun utente (una volta li avremmo definiti appassionati, fan o ascoltatori), come filtrare, classificare, selezionare, proporre e consigliare i possibili ascolti. Ascolti che, sempre più, per la maggior parte degli utenti, si concentrano nel singolo di successo, in quello più conosciuto e commerciale, ad anni luce, quindi, da quello che, un tempo, era il classico ascolto di un album nella sua interezza.
Certo, a volte, potremmo persino ricevere un consiglio prezioso, potremmo scoprire qualcosa che era sfuggito ai nostri radar sonori, un po’ come accade con qualsiasi webzine o rivista cartacea, ma è chiaro che, il più delle volte, questi consigli saranno il risultato di determinati schemi di priorità; schemi che non sono assolutamente legati alla qualità del lavoro, quanto, piuttosto, alla forza, ai mezzi, agli strumenti e alle risorse che alcuni operatori del settore riescono a mettere in campo. A chi credete questi algoritmi diano maggior peso? A quelli che sono i vostri effettivi gusti musicali o a ciò che essi debbono “vendere”?
C’è un modo per arginare e mettere un freno a questo processo? Sicuramente, innanzi tutto bisogna essere consapevoli di cosa si nasconde dietro quello che vediamo e quello che ci viene proposto. Se vogliamo usare la rete, dobbiamo conoscere come funzionano i suoi meccanismi nascosti, soprattutto quelli più millantatori e più incantatori; ma solamente lo studio e la conoscenza potranno condurre alla consapevolezza necessaria a discriminare quelle che possono essere delle opinioni accettabili, dei fatti accaduti o delle possibili teorie da quelle che, invece, sono delle enormi e gigantesche cazzate, messe lì solamente per creare confusione, per dividere, inutilmente, le persone, per distrarle o magari per condurle a cedere, ingenuamente, la loro fiducia a determinate organizzazioni, società, enti o partiti politici.
E’ fondamentale, dunque, studiare e acculturarsi, perché i grandi operatori del web basano la loro forza soprattutto sulla nostra ignoranza, sulla nostra apatia, sulla nostra superficialità, sulla nostra mancanza di volontà: vogliamo che tutto si risolva in pochi semplici click, perdendo, al massimo, qualche manciata di secondi e sintetizzando ogni questione ad un semplicistico e banale schema bidimensionale di buoni e di cattivi. Non abbiamo più alcuna voglia di leggere, di documentarci da più fonti, di diversificare, di ascoltare un discorso, un dibattito o un disco dall’inizio alla fine, di dedicare sufficiente tempo all’apprendimento e, di conseguenza, ci rintaniamo sempre più nelle nostre arcaiche caverne digitali. Luoghi, colmi di luci abbaglianti, di comodità, di benessere e di oggetti superflui e stupefacenti, nei quali perdiamo coscienza del nostro passato, non sentiamo alcun bisogno di progettare il futuro, ma ci basta l’eterno presente elaborato dalle tanto celebrate intelligenze artificiali, con l’onnipresente e tentacolare rete-oracolo alla quale fare le nostre richieste e le nostre domande, accettando, pedissequamente e passivamente, qualsiasi responso, anche il più ingiusto, il più meschino, il più tragico, il più corrotto, il più sbagliato. 2+2 fa 5, giusto?
Intanto si parla, un po’ ovunque, di trasparenza, ma è evidente che finché le persone non saranno sufficientemente consapevoli, istruite e critiche, le famose “big-tech” non offriranno, mai e poi mai, nessuna vera e reale forma di trasparenza, ma solamente una serie di specchi o, meglio ancora, di filtri virtuali che ci terranno, il più possibile, da buoni, proni, sciocchi, timorosi e servizievoli consumatori, lontani da quelli che sono i loro segreti, le loro alleanze, i loro accordi, i loro profitti, i loro vantaggi, i loro database, i loro server, i loro codici, i loro oscuri obiettivi.
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