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Tumore del colon-retto, in aumento le diagnosi al di sotto dei 50 anni

Negli ultimi anni il tumore del colon-retto, un tempo considerato una patologia tipica della terza età, sta registrando un preoccupante incremento in Italia, con circa 50mila nuovi casi diagnosticati ogni anno. A destare particolare attenzione, come già rilevato in passato, è la crescente incidenza tra gli under 50, in particolare nella fascia compresa tra i 30 e i 45 anni.

Secondo Isacco Montroni, direttore dell’Unità complessa di chirurgia colon-rettale all’Istituto nazionale dei tumori di Milano, individuare la malattia in fase precoce è cruciale per migliorare le possibilità di cura. «Il programma di screening nazionale, basato sul test del sangue occulto nelle feci, rappresenta uno strumento fondamentale, ma purtroppo non è ancora adottato con la regolarità necessaria – spiega l’esperto – all’Int stiamo lavorando a metodologie diagnostiche più innovative e meno invasive rispetto alla tradizionale colonscopia, come l’analisi delle alterazioni genetiche dei tumori e del sistema immunitario attraverso un semplice prelievo di sangue, grazie al supporto del Dipartimento di Oncologia sperimentale».

Le nuove tecniche di diagnosi precoci

Nel campo della ricerca, il progetto BioLynch, coordinato da Marco Vitellaro, responsabile della S.S. tumori ereditari dell’apparato digerente nello stesso istituto, punta appunto a sviluppare una tecnica avanzata di diagnosi precoce basata sull’uso di biomarcatori ematici. Questa metodologia risulta particolarmente utile per i pazienti con predisposizione genetica, come quelli con sindrome di Lynch.

Parallelamente l’istituto sta portando avanti importanti sviluppi terapeutici sulla patologia che ha colpito anche l’indimenticabile Totò Schillaci, scomparso lo scorso autunno. L’immunoterapia sta ad esempio emergendo come un’opzione promettente nel trattamento pre-chirurgico del tumore del colon-retto. Lo studio Unicorn sta infatti analizzando l’efficacia di questo approccio, con risultati incoraggianti che potrebbero ridurre la necessità di interventi chirurgici invasivi e migliorare le probabilità di successo della terapia.

Un altro aspetto centrale nella lotta contro la malattia riguarda l’adozione di un approccio integrato alla cura. «Non ci limitiamo all’asportazione del tumore ma ci impegniamo a garantire una buona qualità di vita ai pazienti, supportandoli anche nella ripresa funzionale e nell’affrontare le conseguenze psicologiche della malattia», sottolinea Montroni. Questo aspetto diventa ancora più rilevante nei pazienti più giovani, per i quali il supporto psicologico e nutrizionale gioca un ruolo fondamentale nel percorso terapeutico.

Infine, la prevenzione rimane fondamentale: adottare uno stile di vita sano può fare la differenza, come per molte altre patologie. «Diversi studi scientifici hanno evidenziato che fattori di rischio modificabili, come il fumo e l’obesità, non solo aumentano la probabilità di sviluppare il tumore, ma incidono anche negativamente sulla prognosi e sulle complicanze post-operatorie», conclude Montroni. «Il rischio di mortalità e complicanze è quasi doppio nei fumatori rispetto a chi non fuma. Inoltre, una dieta scorretta e la mancanza di attività fisica sono tra le cause principali dell’aumento della patologia nei pazienti sotto i 50 anni. Occorre agire concretamente per modificare questi comportamenti e ridurre il rischio».


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