Trump, stop ai dazi per un mese: saggezza ritrovata o effetto bullo studiato a tavolino?
Dopo che il Wall Street Journal ha definito i dazi di Trump “la più stupida (dumb) guerra commerciale della storia” sembra che ci sia poco da commentare. Il presidente Usa si porterà sulle spalle questo giudizio per i prossimi quattro anni. Volendo però aggiungere qualcosa, questa guerra commerciale sta assumendo i caratteri di una serie Netflix, che potremmo intitolare seguendo l’illustre giornale economico, “The Dumb (in economics) President”, della quale abbiamo visto già due episodi. Il primo ha riguardato gli annunci sbandierati da mesi dei super dazi sulle importazioni da Messico, Canada e Cina. Il secondo è quello della loro sospensione (per Messico e Canada) per un mese con una piroetta inaspettata. Ora si annuncia il terzo, i dazi nei confronti della Ue. Data la volatilità studiata di Trump, ma non del suo ciuffo, credo che vedremo tanti episodi e forse per quattro stagioni.
La cosiddetta “stupidità” economica di Trump deriva dal fatto che assieme alla sua cerchia non è stato in grado di valutare, o non ha voluto farlo, correttamente le conseguenze della sua provocazione commerciale. Il 99% e passa degli economisti considera un uso così generalizzato delle tariffe doganali una sciocchezza perché porterà due effetti molto negativi. Il primo è una riduzione del commercio internazionale e dunque della crescita, per gli Usa e per gli altri paesi. Il secondo è l’incremento dei prezzi trainato dalle tariffe. Solo gli amici di Trump possono sostenere che le tariffe non spingeranno l’inflazione, in questo caso essendo più disonesti che inclini alla stupidità. Forse è per questo che nel secondo episodio Trump si è preso una pausa di un mese. Saggezza ritrovata o effetto da bullo studiato a tavolino? Se le prime reazioni dell’élite sono state corrosive, quelle degli americani saranno furiose quando il prezzo dell’avocado e di altre centinaia di beni aumenterà sensibilmente.
Quello che stupisce almeno in questa fase iniziale è la totale mancanza di coerenza logica dell’azione presidenziale o, se vogliamo, la sua totale ipocrisia. Infatti non c’è alcuna relazione tra le finalità degli ordini esecutivi e gli strumenti usati. Trump ha affermato che i dazi erano necessari per fermare il traffico illegale di migranti e il commercio dell’oppioide fentanyl, la droga dei poveri che sta mietendo molto vittime negli Usa. Ma è difficile capire come i dazi sulle importazioni potranno fermare i migranti o gli spacciatori. Qui Trump sta usando strumenti economici contro l’economia e solo per le sue finalità politiche ed elettorali. Tra l’altro, senza invocare presunte urgenze di sicurezza nazionale non avrebbe potuto adoperare l’Ieep (International Emergency Economic Powers Act), che è il fragilissimo strumento legale su cui ora sta appoggiando il suo disastro economico.
Le tariffe, in realtà, non sono giustificate da nessuna emergenza e dovrebbero avere lo scopo di ridimensionare il deficit commerciale americano. Ma anche qui Trump non si trova a suo agio con l’economia. È vero, come dice Trump, che tutti siamo molto sleali, e quindi da punire, con gli americani non comprando i loro prodotti, mentre loro acquistano i nostri? In economia la morale non interessa molto e la posizione di Trump è ancora più illogica della precedente. I consumatori Usa acquistano merci straniere semplicemente perché sono più economiche oppure di miglior qualità (senza tener conto che magari sono prodotte fisicamente altrove). Quindi il problema, semmai, è la modesta competitività delle imprese americane.
Riducendo il disavanzo commerciale, cioè producendo in proprio, i cittadini Usa starebbero meglio? La risposta è: probabilmente no. Negli ultimi venti anni il tasso di crescita degli Usa è stato nettamente superiore a quello europeo per una semplice ragione: gli Usa si sono specializzati nei servizi e hanno abbandonato la manifattura. Ancora negli anni Settanta le fabbriche producevano il 25% del Pil americano, ora siamo al 10%. Oggi l’economia americana è un panorama con pochissime industrie e molte di quella made in Usa si trovano fisicamente in Messico oppure in Cina. Questa trasformazione dell’economia ha consentito agli Usa di crescere molto di più dell’Europa. La legge dei vantaggi comparati di David Ricardo opera sempre. Ognuno si specializza dove i suoi costi relativi sono più bassi. Oggi la forza degli Usa sono la finanza, la sanità, la consulenza, la ricerca e molti altri settori che non producono beni materiali. Gli Usa hanno ceduto il settore manifatturiero alla Cina e all’Europa per una pura convenienza economica e non possono lamentarsi più di tanto. Tornare indietro si può e lo ha dimostrato Biden, che con i suoi corposi sconti fiscali a suon di miliardi di dollari sta facendo ritornare negli Usa le industrie tecnologiche come quelle dei semiconduttori e simili. Le tariffe doganali generalizzate non servono e anzi peggiorano la situazione.
Gli autocrati di tutto il mondo amano le guerre, magari per essere citati in qualche riga di un libro di storia. Putin ha destabilizzato l’ordine economico globalizzato con la sua guerra contro l’Ucraina, adesso è il turno dell’amico Trump che per ora si limita alla guerra doganale. Quest’ultima non è meno dannosa per l’economia, anche se per fortuna non cruenta, almeno per ora. Attendiamo le prossime puntate della serie “The Dumb (in economics) President”, nella vaga speranza che magari venga chiusa in anticipo per un rinsavimento dei conservatori americani – che per ragioni misteriose hanno già abbandonato la democrazia e lo stato di diritto, ma ora anche la strada della prosperità economica che certamente non passa per i dazi doganali, anacronistica dimostrazione di un fatuo imperialismo economico ottocentesco.
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