Troppo vino resta fermo in cantina: «Meno rese e stop agli impianti»
Tra le tante minacce legate ai dazi di Trump c’è un aspetto molto pericoloso che ancora non è stato ben messo a fuoco: fanno passare qualsiasi altra problematica in secondo piano. Difficoltà che poi non scompaiono d’incanto, ma restano li.
E il vino italiano, pesantemente esposto sul tema dazi visto che gli Usa sono il primo mercato estero in valore, di difficoltà ne ha e ne aveva anche prima del ritorno di Trump alla Casa Bianca. Difficoltà legate a uno squilibrio che, anno dopo anno, si sta allargando sempre più tra una produzione eccessiva e un mercato, sia nazionale che internazionale, che non consuma più come in passato.
Già da qualche anno sono in atto profondi cambiamenti negli stili di consumo. Perdono terreno i vini rossi, secondo qualcuno penalizzati anche al cambiamento climatico che con temperature più alte non li favorisce, mentre tengono le posizioni i prodotti, come vini bianchi e spumanti, più “facili” e quindi che, serviti freddi, meglio si prestano al consumo fuori pasto, all’aperitivo o al cocktail. Ma attenzione, anche i vini più apprezzati tengono le posizioni, ma non registrano grandi progressi.
Una crisi, beninteso, che non riguarda solo l’Italia ma anche gli altri competitor. Tuttavia, mentre in Francia si rottamano i vigneti (15mila ettari di vigne espiantate solo a Bordeaux dove un litro di vino base nei giorni scorsi era quotato a 0,77 euro al litro, prezzo al di sotto di qualsiasi sostenibilità economica), in Italia da un punto di vista produttivo non è cambiato granché. Anzi, si continua a piantare. Un 1% l’anno delle superfici vitate, circa 6-7mila ettari di nuovi vigneti ogni anno per produrre vini che in tanti non vogliono più.
“Per un viticoltore è dura da ammettere ma la realtà è che siamo preoccupati per la vendemmia alle porte – commenta il presidente dell’Unione italiana vini, Lamberto Frescobaldi -. E’ più di un anno che parliamo di rischio sovraproduzione, nel 2023 siamo stati “salvati” dal fungo della peronospora che ha tagliato la produzione e nel 2024 a contenere l’offerta ci ha pensato il clima bizzarro. Ma se la vendemmia 2025 sarà nella media avremo circa 50 milioni di ettolitri che uniti ai 43,6 attualmente in giacenza perché invenduti da passate vendemmie avremo 90 milioni di ettolitri da collocare sui mercati. Abbiamo un Osservatorio che fornisce dati puntuali e questo è uno scenario da far tremare i polsi”.
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