Mondo

«Troppe violenze»: MSF lascia Khartoum e il Sudan

“Non possiamo garantire la sicurezza di pazienti e operatori e siamo costretti a sospendere le attività nell’ospedale Bashir di Khartoum”. Gaia Giletta, responsabile del programma di malnutrizione di Medici Senza Frontiere appena rientrata dal Sudan, spiega la scelta dolorosa ma necessaria della Ong internazionale. In 20 mesi di attività nel Paese, infatti, MSF ha subito ottanta attacchi dalle forze che si contendono il potere. Scoppiata ad aprile del 2023, la guerra civile che vede le truppe di Supporto Rapido (RSF) combattere contro l’esercito sudanese (SAF) ha numeri molto pesanti: oltre 11 milioni di profughi, di cui tre distribuiti fuori dal paese tra Ciad, Egitto e Sud Sudan, migliaia di morti e feriti. Chi è sopravvissuto alle bombe e ai proiettili, però, affronta una vita difficilissima. Le forniture sono impossibili, quindi manca tutto: dal cibo ai generi di consumo, dai farmaci alle attrezzature mediche per gli ospedali. E la situazione a Khartoum è ormai disperata.

Medici e pazienti in pericolo

“Fino a pochi giorni fa – spiega Giletta – supportavamo l’ospedale Bashir da El Geneina. Da remoto, nonostante la connessione instabile, offrivamo supporto medico e organizzativo, fornivamo attrezzature mediche, computer e anche farmaci, ma le difficoltà di trasporto erano immense a causa delle numerose linee di confine che separano le zone controllate da RSF e quelle da SAF. Gran parte del materiale inviato, infatti, non arrivava a destinazione. A bloccare però il nostro supporto all’ospedale è stato il pericolo, non più sostenibile, per pazienti e personale medico. L’11 novembre scorso un paziente è stato colpito e ucciso all’interno della struttura, il 18 dicembre aggressori hanno sparato all’interno del reparto di emergenza, minacciando direttamente il personale medico e in un precedente incidente una persona all’interno dell’ospedale è rimasta ferita a causa di colpi di arma da fuoco sparati dall’esterno”. Una spirale di violenza che non ha più consentito la presenza nella struttura di personale internazionale nonostante il bisogno crescente.

La popolazione, ormai allo stremo, è costretta a spostarsi seguendo i cambiamenti delle linee di confine tra le due fazioni in guerra e gli operatori umanitari cercano di seguirla, adattando i servizi ai bisogni del momento, che variano dalla chirurgia ricostruttiva per le ferite da guerra alla malnutrizione, dal contenimento delle conseguenze del cambiamento climatico all’assistenza ai cronici. Interventi preziosi in un Paese la cui sanità era già al minimo ed è collassata a causa della guerra. La squadra di Medici Senza Frontiere impegnata oggi nel Paese è di 1.300 persone, tutto personale nazionale, ma la Ong supporta finanziariamente anche medici impiegati dal Ministero che da mesi non percepiscono lo stipendio. Lo scenario cambia, anche radicalmente, in base alle aree del Paese.

Popolazione locale in fuga

Nella zona di El Geneina, controllata dalle truppe RSF i combattimenti sono pressoché assenti, la città è piena di militari e la popolazione, in gran parte, è scappata. La disponibilità di cibo è scarsa, ma la situazione è tranquilla. “Nel Darfour dove l’ingresso alle Ong è negato – spiega Giletta -, la situazione è catastrofica: il cibo ha prezzi altissimi, non accessibili alle famiglie e anche la salute non è garantita per la difficoltà di raggiungere le strutture esistenti e per i costi. A Murnei, zona più periferica e isolata, la popolazione sta rientrando, ma il raccolto di novembre è stato scarso perchè i campi sono stati abbandonati per la guerra e oltre alle persone, mancavano mezzi economici e fisici per seguire le coltivazioni”.

In quest’area Msf supporta il pronto soccorso e la maternità dell’ospedale, parzialmente distrutto come l’80% delle strutture sanitarie del Paese, ma impiega anche cliniche mobili, con medici, infermieri e ostetriche che si spostano in auto, con viaggi anche di due o tre ore, per raggiungere la popolazione che non riesce a muoversi. “A Murnei abbiamo 100 bambini sotto i 5 anni in cura per malnutrizione, ma anche tante mamme, con la conseguenza di un aumento di parti prematuri e nascite a rischio, difficili da gestire senza sale operatorie e incubatrici”. Zone come il Sahel, a Sud del Paese, sono fortemente interessate dalle conseguenze dell’impatto del cambiamento climatico: siccità e inondazioni formano fiumi che impediscono gli spostamenti e aggravano la carestia. Nonostante le condizioni di vita impossibili i combattimenti continuano nel Paese.


Source link

articoli Correlati

Back to top button
Translate »