Tre giorni prima del fermo di Cecilia Sala, due iraniani furono arrestati in Italia e Usa
Tre giorni prima dell’arresto della giornalista Cecilia Sala, attualmente detenuta nel carcere di Evin in Iran, all’aeroporto di Milano-Malpensa un cittadino iraniano di 38 anni veniva arrestato in quanto ricercato dagli Usa. Gli agenti avevano perquisito lui e i bagagli sequestrando componentistica elettronica per droni e anche diversa documentazione. Per Mohammad Abedini Najafabadi la Corte d’appello di Milano aveva convalidato l’arresto. Per l’uomo, che gli Usa chiedono di estradare, era stata presentata una formale protesta di Teheran con l’Italia e gli Stati Uniti. L’uomo è attualmente detenuto in regime di stretta sorveglianza: una misura presa per evitare rischi alla sua incolumità ma anche contro il pericolo di fuga. Abedini, che era appena atterrato da Istanbul, si trova in carcere a Busto Arsizio (Varese) in attesa che i giudici decidano per la sua estradizione negli Usa.
Il Paese richiedente ha infatti 45 giorni dall’arresto provvisorio ai fini estradizionali per inviare la documentazione a supporto della richiesta. Una volta ricevuta la documentazione, la Corte fisserà l’udienza. Nel frattempo gli investigatori milanesi stanno analizzando quanto gli è stato trovato nei bagagli nello scalo milanese: componentistica elettronica compatibile con i reati contestati dalla Corte di giustizia statunitense, materiale cartaceo, bancario e commerciale, tre device telefonici e informatici. Se si tratta di materiale illegale sarà l’Autorità giudiziaria milanese ad occuparsene. Abedini è accusato anche di aver fornito il supporto materiale al Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica, considerate dagli Usa un’organizzazione terroristica, che ha poi portato alla morte di tre militari statunitensi, uccisi da un attacco con un drone su una base in Giordania.
C’è poi un altro uomo per cui l’Iran ha protestato: si tratta di Mahdi Mohammad Sadeghi, cittadino statunitense-iraniano di 42 anni, è stato invece fermato negli Usa. Anche lui è accusato dai procuratori della Corte federale di Boston di cospirazione per esportare componenti elettronici dagli Stati Uniti all’Iran in violazione delle leggi statunitensi sul controllo delle esportazioni e sulle sanzioni. Il 22 dicembre il ministero degli Esteri di Teheran aveva convocato l’ambasciatrice svizzera in Iran (che rappresenta gli interessi americani nel Paese visto che Iran e Usa non hanno relazioni diplomatiche ufficiali), oltre che l’incaricato d’affari italiano, per protestare contro le misure. “Consideriamo sia le crudeli e unilaterali sanzioni statunitensi contro l’Iran sia questi arresti come contrari a tutte le leggi e gli standard internazionali”, è stata la protesta iraniana. Teheran aveva poi negato ogni coinvolgimento nell’attacco in Giordania e respinto le accuse contro i suoi due cittadini.
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