Tre anni di guerra in Ucraina. La storia di Hasan, partito da solo, a 11 anni, per cercare salvezza lontano
È partito da solo, con un numero di telefono scritto sulla mano, il suo zainetto rosso, il passaporto e un sacchetto di plastica. Da pochi giorni la Russia aveva invaso l’Ucraina, dando inizio alla guerra che, con oggi, si combatte esattamente da tre anni. Sua madre, Yulia, lo ha lasciato nella folla di fuggitivi alla stazione dei treni di Zaporižžja, e Hasan, 11 anni, si è messo in viaggio per 1200 chilometri, in treno, per cercare rifugio a Bratislava, in Slovacchia. Questa storia vera – per fortuna a lieto fine – è raccontata nel libro Da Solo (Neri Pozza), di Novita Amidei, che lavora nell’ambito delle migrazioni internazionali e dell’asilo politico, in Francia.
Come ha scoperto questa storia?
«Il primo articolo su Hasan era comparso su un quotidiano slovacco nel marzo del 2022 ed era stato poi ripreso da moltissimi altri media nel mondo. La cronaca del bambino undicenne che si era messo in salvo da solo era riassunta in poche righe, pressoché uguali da una fonte all’altra, Bbc, People, The Washington Post, Paris Match. Dopo esserne venuta a conoscenza, mi era rimasto l’interrogativo di cosa avesse provato quel bambino durante il viaggio e, prima ancora, sua mamma nel lasciarlo in stazione con un indirizzo scritto sul dorso della mano (lei ed era rimasta con la nonna ammalata)».
Che cosa l’ha spinta a raccontarla?
«Ho lavorato per diversi anni con le migranti dell’Est Europa in Italia – studiando, fra le altre tematiche, la maternità a distanza – e quando mi è stato suggerito di raccontare in una storia la guerra russo-ucraina, ho pensato immediatamente ad Hasan e a sua mamma Yulia. Solo dopo aver finito di scrivere il romanzo, però, mi è venuta l’idea di cercarli. Fra i milioni i rifugiati ucraini in Europa (quasi otto i dichiarati, ma 24 milioni che hanno lasciato il Paese – dati Unhcr), la mia aveva l’aria di un’impresa impossibile».
Ce l’ha fatta a incontrarli?
«Non è stata cosa immediata, ma grazie al passaparola e al cognome arabo di Hasan (il padre, scomparso ad Aleppo, aveva origini siriane), sono riuscita a trovarli e a incontrarli a Bratislava lo scorso agosto. L’intervista riportata in chiusura al romanzo raccoglie le voci di Yulia, Hasan e dei suoi fratelli e sorelle maggiori che avevano fatto il viaggio prima di lui e che, come Pollicino nella fiaba di Perrault, avevano lasciato dei sassolini per strada perché lui, il più piccolo della famiglia, avesse una traccia del percorso da seguire. Avevano avvertito il personale frontaliero e umanitario incontrato durante il viaggio di un eventuale passaggio del fratello minore, e avevano preso i loro numeri di cellulare, dando il loro. Una volta arrivati a destinazione, poi, avevano cercato di convincere la mamma a lasciarlo partire Hasan, ma lei esitava, finché, qualche giorno dopo, vinta dalla minaccia nucleare della presa della centrale nucleare di Enerhodar da parte dei russi e dai ricordi di Chernobyl, non aveva finito per affidare anche lui al destino».
Ci sono molti bambini che, come Hasan, sono stati costretti a fuggire dalla guerra da soli.
«Sono sette milioni, secondo l’Unicef, i bambini colpiti dalla guerra russo-ucraina, che hanno subito violenze e perdite di familiari, che sono sfollati all’interno del Paese, rifugiati all’estero, o che, a casa loro, vivono senza acqua potabile ed elettricità, circondati da campi e i boschi minati – 20.000, inoltre, quelli che, secondo il premio Nobel per la pace ucraino Oleksandra Matviichuk, sono stati sottratti dai russi. In Ucraina, i bambini crescono con l’abitudine alla guerra e sanno distinguere, al suono, da dove parte un missile, dove potrebbe arrivare e di che calibro è. I più grandi, invece, abbandonano la scuola perché sanno di essere destinati al fronte e di non tornarne, come mi ha raccontato, a Odessa, Anna Arkhypova, psicologa dell’associazione Renewal Ukraine».
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