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Tra sms e chiamata alle armi, le dichiarazioni del Mef sulla scalata a Mediobanca smentite dagli stessi scalatori

Benché non ci sia niente di penalmente rilevante, la scalata di Mps a Mediobanca è costellata di passi falsi del ministero dell’Economia. È quanto emerge dall’atto di perquisizione eseguito nei giorni scorsi nell’ambito dell’indagine della procura milanese sulle operazioni che hanno ridisegnato la mappa della finanza italiana e citato dal Corriere della Sera e dalle agenzie di stampa.

A partire dalla procedura con la quale il ministero dell’Economia, a novembre del 2024, ha venduto il 15% del Montepaschi a Caltagirone, Delfin, Bpm e Anima con l’intermediazione di Banca Akros (gruppo Bpm). Lo svolgimento del collocamento tramite quello che in gergo viene chiamato Accelerated bookbuilding (Abb) “è stato caratterizzato da diverse e vistose anomalie: il senso complessivo dell’operazione è stato palesemente quello di destinare una parte cospicua di azioni Mps di proprietà del Mef a soggetti predeterminati“, cioè Caltagirone e Delfin, “volendo tuttavia generare all’esterno l’apparenza di una procedura “aperta”, ossia trasparente, competitiva e non discriminatoria”, si legge nel decreto a carico di Francesco Gaetano Caltagirone, del presidente di Luxottica e della controllante lussemburghese Delfin sarl Francesco Milleri e dell’amministratore delegato di Mps, Luigi Lovaglio, per le ipotesi di reato di aggiotaggio e di ostacolo alle autorità di vigilanza per aver, stando agli inquirenti, tenuto nascosto al mercato un accordo sulle operazioni che hanno portato la banca toscana a ottenere il controllo di Mediobanca, a sua volta primo azionista delle Generali.

“Non è spiegabile se non nel senso di voler pilotare l’attività di dismissione, l’affidamento della funzione di bookrunner unico a Banca Akros, intermediario con un’unica esperienza di Abb alle spalle, peraltro di entità notevolmente inferiore a quella in esame”, laddove i precedenti collocamenti di quote di Mps in mano al Tesoro erano stati affidati “a un pool di banche internazionali”, si legge nelle carte citate dall’Adnkronos. Il ministero dell’Economia giustifica la scelta con il fatto che Akros aveva offerto uno sconto più interessante degli altri, ma in Procura rilevano come la banca d’affari della Bpm sia semplicemente stata “l’unica a ricevere dal Ministero la richiesta di un rilancio: nella nota del 29 luglio 2025 alla Consob, il Ministero afferma che scelse Akros in virtù dell’offerta migliore, senza però specificare che solo a questa banca venne richiesto il cosiddetto second round, ossia un invito a migliorare l’offerta”.

Quella dell’asta per la vendita del 15% di Mps è una fase, “sulla quale l’attenzione si è particolarmente soffermata, in quanto la stessa si sarebbe rivelata con forte evidenza quale operazione preparatoria e cruciale rispetto alla realizzazione del progetto di conquista di Mediobanca”, spiegano ancora gli investigatori. Per i quali, va ricordato, nonostante le molteplici “opacità e anomalie“, nella vendita di Mps non è configurabile il reato di turbativa d’asta, perché la normativa del 2020 su queste operazioni non le qualifica come gare pubbliche. Anche se resta da capire come questo sia compatibile con le prescrizioi comunitarie sulla privatizzazione di Mps.

Notevoli, poi, le incongruenze nelle dichiarazioni ufficiali del ministero dell’Economia sull’asta. Il 29 luglio 2025, riferisce il Corriere, il direttore generale del Tesoro, Francesco Soro, ha dichiarato alla Consob che non c’erano stati contatti con i futuri acquirenti della quota di Mps. “Con riferimento alla richiesta di chiarire se codesto Ministero abbia avuto, prima dell’avvio e del perfezionamento della predetta operazione, interlocuzioni in relazione alla vendita delle azioni Mps con gli azionisti che hanno poi acquisito una partecipazione rilevante in Mps (Delfin, Caltagirone, Anima, Bpm) e/o con altri potenziali investitori e/o con la medesima banca, si precisa che non vi è stata alcuna interlocuzione, contatto o scambio tra i competenti uffici del Mef e gli azionisti che hanno poi acquisito una partecipazione rilevante e/o con altri possibili investitori”, ha scritto Soro alla Commissione.

Una dichiarazione contraddetta dallo stesso Caltagirone e da Delfin che alla vigilanza dei mercati finanziari hanno detto il contrario. “Caltagirone ha dichiarato di essere stato interpellato nel mese di ottobre 2024 dal Ministero”, che era “interessato a creare un nucleo di investitori italiani per Mps”, e “di aver rappresentato la propria disponibilità ad investire anche a ragione della buona conoscenza della banca di cui in precedenza era stato azionista rilevante e vicepresidente”, è la sintesi della Procura degli atti acquisiti in Consob citata dal Corsera. Secondo la quale il costruttore-editore romano avrebbe detto anche che “successivamente, dal Ministero gli era stata data sommaria indicazione degli altri soggetti che sarebbero stati invitati alla procedura”. Che erano poi quelli che hanno effettivamente rilevato la quota. Analogamente Romolo Bardin di Delfin ha “confermato i contatti di Milleri con Caltagirone ed altri esponenti istituzionali relativamente alle azioni Mps detenute dal governo”, precisando che “in tali circostanze Milleri aveva raccolto l’interesse del Ministero per la creazione di un nucleo di investitori italiani in Mps”.

Una volta entrati in Mps, poi, a fine 2024 gli investitori mettono mano al cda della banca. Questo grazie alle dimissioni di 5 consiglieri indipendenti che erano stati eletti in quota ministero dell’Economia. Soro nella sua relazione a Consob di luglio 2025 si sofferma anche su questo passaggio “attestando di non aver contattato i consiglieri uscenti, e tantomeno di averne sollecitato le dimissioni“. Gli inetressati, però, raccontano un’altra storia. E cioè che “le dimissioni furono richieste o imposte dal Ministero, o in un caso dal deputato della Lega Alberto Bagnai, che aveva detto di esprimersi per conto del Ministero.

Poi c’è una nota di aprile 2025 del capo segreteria della vigilanza delle assicurazioni, l’Ivass, che riferisce a Bankitalia in merito a un incontro tra il presidente dell’authority e l’amministratore delegato di Mps. Nella nota, sintetizzano gli investigatori, si riferisce “come l’amministratore delegato di Mps Lovaglio abbia fatto notare che ‘l’intenzione di dare corso all’Offerta su Mediobanca è risalente, e che la presenza di ‘alcuni soci e il supporto governativo‘ hanno avuto in questo momento un ‘ruolo facilitatorio‘”.

Del resto sono stati gli stessi Lovaglio e Caltagirone a contare sul supporto del ministro leghista Giancarlo Giorgetti. Se ne parla in una conversazione intercettata dalla Guardia di Finanza all’indomani dell’assemblea di Mps che il 17 aprile ha approvato la ricapitalizzazione della banca funzionale all’offerta su Mediobanca. “Qualcuno ci ha fatto il bidone”, dice il banchiere al suo azionista. E racconta: “Io avrei giurato (di arrivare, ndr) all’83%, poi le spiego perché qualcuno ci ha fatto il bidone, perché Blackrock è un 2% (…) Io ho scritto al Ceo, e so che il ministro ha scritto un sms perché io gli ho detto “Oh, guarda che non ha votato!”, quindi gli ho detto a Sala hanno scritto un sms, nonostante questo…non è andata bene”.

Via XX Settembre però non ci sta: “Il Mef ha agito sempre nel rispetto delle regole e della prassi”. Fanno informalmente sapere del dicastero di Giorgetti tramite le agenzie di stampa, precisando che dal ministro leghista non c’è stata “nessuna ingerenza né interferenza“.


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