Tra Eurochocolate e Perugia è ora di ridefinire un nuovo “patto sociale”
di Mauro Agostini
Sarebbe bene evitare una sorta di guerra di religione su Eurochocolate, contrapponendo due schieramenti ognuno dei quali può addurre a suo sostegno argomenti non banali e comunque degni di considerazione, soprattutto dopo l’intervista della sindaca Ferdinandi. Il confronto può essere positivo se si sviluppa nel merito, sui contenuti, fuori da inutili esternazioni sopra le righe. Provo a mettere in fila un piccolo ragionamento partendo da una premessa.
Non credo che un’amministrazione pubblica possa essere chiamata con il clamore di questi giorni a “schierarsi” a difesa di un interesse privato. Un’istituzione ha il dovere di valutare se una iniziativa può essere iscritta in un quadro di valorizzazione di un interesse generale della città e, ove lo ritenga, di regolarne lo svolgimento attraverso gli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione. Mi pare non ci sia dubbio che il Comune di Perugia consideri e abbia sempre considerato, anche nell’alternanza delle maggioranze politiche, questa manifestazione come di assoluto rilievo per la città.
Il tema di fondo è: come una kermesse che è venuta crescendo con forza negli anni si inserisce nel cuore della città nel momento in cui il centro storico vive una fase di profonda trasformazione. Una trasformazione che genera naturalmente in chi il centro non lo “frequenta” ma lo “abita” una certa dose di insicurezza e persino di preoccupazione. Sbaglia chi pensa che sia in corso un processo di gentrificazione, tutt’altro, il centro è percorso da fenomeni di rimescolamento sociale che non sono di per sé negativi ma che vanno compresi e governati. La città vive tutti i contraddittori e divisivi processi tipici di un’epoca di approfondimento delle diseguaglianze e di profondi rivolgimenti degli stili di vita e di consumo.
Il centro storico è segnato, oltreché dal sovraccarico “automobilistico”, dall’affermazione degli affitti brevi che impattano pesantemente sul mercato immobiliare e determinano l’emersione del problema abitativo e dal fenomeno dell’overtourism. Qualcosa che fa bene ad alcuni interessi e genera disagi a molti. Non siamo più in presenza del solido, tradizionale, tranquillo tran tran degli affitti agli studenti che abbiamo conosciuto per decenni. Sorgono domande nuove e bisogni nuovi da parte dei residenti. Si manifestano anche sensibilità nuove come il corteo alternativo di alcune sere fa ha dimostrato e che (bene ha fatto la Ferdinandi a parlare di valorizzazione di una Perugia libera) vanno guardate con rispetto e considerazione. E non riguardano solo le giovani generazioni.
L’idea di un centro abitato da privilegiati, palcoscenico immutabile nel suo splendore architettonico di tutte le manifestazioni più o meno invasive va ormai definitivamente archiviata. Le due più importanti manifestazioni, Umbria Jazz ed Eurochocolate che hanno più o meno anche la stessa durata, si inseriscono però in modo assai diverso nel contesto urbano. La prima lo fa in modo diffuso, starei per dire molecolare, come una materia fluida che scorre nelle articolazioni del centro. La seconda si configura come una struttura rigida che si impadronisce della città.
Eurochocolate è sicuramente un asset della città, specialmente ora che cerca anche di definirsi un profilo meno semplicistico facendo appello alla grande tradizione del cioccolato che è nel dna della città ma che ha ben altre ascendenze di quelle meritoriamente riprese da Guarducci, imprenditore di fiuto sicuro. Allora è il momento di ridefinire il rapporto tra Eurochocolate e Perugia, dare vita a un nuovo “patto sociale” che tenga conto di diverse esigenze e funzioni del centro storico e del ricco tessuto associativo che caratterizza la città. Senza atteggiamenti manichei da una parte e dall’altra. Credo che appaia chiaro anche al patron della manifestazione che così come l’abbiamo vista quest’anno non è più sostenibile.
Guardiamo alla contraddizione tra lo spot televisivo (a opera della Regione) che scorre in questi giorni e che mette in evidenza le ineguagliabili bellezze della nostra terra e del suo stile di vita e quello che abbiamo visto rappresentato in queste due settimane in città, una sfilza imbarazzante di tensostrutture che impediscono la vista di qualsiasi cosa, dai Giardini Carducci sacrificati alle esigenze dell’arrosticino fin oltre Piazza Matteotti e il Duomo. Nel dire questo non dico, come pure qualcuno fa, vade retro Satana. Dico soltanto che come ogni intelligente attività imprenditoriale giunta alla fase della piena maturità anche questa va adattata ai tempi e ridefinita.
All’insegna di cosa? Della sostenibilità, logistica, civica, culturale. Sì, anche culturale. Si potrebbe pensare di lasciare in centro una sorta di terminale delle iniziative con più contenuti convegnistici e esperienziali e decentrare le attività più squisitamente commerciali. In considerazione anche dell’apertura della Città del Cioccolato, museo che recupera un luogo finora ai margini e che anche attraverso il sito web può sviluppare significative iniziative. Mi permetto di suggerire come ordine del giorno un verbo: contemperare.
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