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Torna Pippo Delbono con ‘Il risveglio’: l’elaborazione di un lutto in cui si ride spesso

La buona notizia, almeno per chi ama (e sono tanti) il suo modo personalissimo, diretto e poetico, di fare teatro, è che Pippo Delbono è tornato a calcare il palco, dopo anni molto difficili per lui, anni di dolore e disagio. Non che avesse mai abbandonato il teatro. Fra l’altro, ci aveva regalato, da regista, quel piccolo gioiello che è Amore (2021), in cui rispecchiava il suo stato d’animo nella melanconia struggente della cultura e dell’arte lusitane. Ma in Amore non saliva sul palco, tranne che nel finale, per distendersi ai piedi di un alberello spoglio che all’improvviso fioriva di bianco. Presagio di primavera e di risveglio.

C’era mancato il suo modo inconfondibile di stare allo stesso tempo dentro e fuori dello spettacolo, un po’ regista e performer e un po’ spettatore. Ci sono mancate le sue corse dal fondo della sala verso la scena, con quelle irruzioni che servivano anche a legare i diversi “numeri” di cui solitamente si compongono i suoi spettacoli, come un varietà o una rivista, o al circo, grazie alla straordinaria compagnia di attori-non attori riunita quasi trent’anni fa. Ci è mancata la sua disperata vitalità, la sua anomala eppur precisa fisicità, il suo modo così poco canonico eppure efficacissimo di leggere un testo, trasformandolo in un messaggio rivolto proprio a te, a ogni singolo spettatore.

In Il risveglio (visto al Teatro Storchi di Modena in ottobre) tutto questo ancora non c’è, se non per accenni. Pippo sta sempre in scena, seduto o fermo in piedi. Oppure cammina piano a passettini, non senza difficoltà. E sembra la camminata dell’adorato Bobò, l’omino sordomuto che aveva adottato nel 1996 ed era diventato la “vedette” del gruppo, amato dalle platee di tutto il mondo per l’incredibile presenza e l’assoluta precisione del suo fare scenico.
La scomparsa di Bobò, nel febbraio 2019, è stata la causa scatenante della condizione di sofferenza in cui ha versato il nostro artista negli ultimi anni. Ora, in questo spettacolo, accade come se Bobò fosse entrato in lui e la coppia si fosse in qualche modo ricomposta.

La novità de Il risveglio rispetto agli spettacoli precedenti è che quasi tutti i testi che Pippo legge sono suoi, una sorta di diario poetico di questi anni, del “buio feroce” che si è trovato ad attraversare ancora una volta. Ma presto si risale indietro, come in altre occasioni, fino alla giovinezza, quando era uno studente di Economia e Commercio, e alle corse in moto con Vittorio, il suo amore fatale, verso un concerto dei Who a Zurigo.

Naturalmente è a Bobò che viene consacrata buona parte dello spettacolo, compreso il finale, che lo mostra in video mentre balla e tutti gli altri escono in scena per ballare con lui, e con Pippo. Il quale evoca anche Pina Bausch, uno dei suoi maestri, per raccontare aneddoti teneri e buffi che dimostrano quanto lei fosse affezionata a Bobò, avendone capito la misteriosa grandezza artistica.

In questo spettacolo, dedicato sostanzialmente all’elaborazione di un lutto, si sorride spesso, come del resto in tutti i lavori di Delbono. Per esempio all’inizio, quando, dopo averci fatto vedere una splendida Ornella Vanoni d’antan che canta Domani è un altro giorno, Pippo racconta che alla “prima” parigina gli spettatori, con la loro puzza al naso, non sapevano chi fosse!

Fra la Vanoni che apre e Edith Piaf che chiude con La vie en rose, c’è ovviamente molta altra musica (con il violinista Alexander Balanescu sul palco): soprattutto rock-pop, dai Jefferson Airplanes ai Who. Siamo così trasportati alla fine degli anni Sessanta: Woodstock, la controcultura, la promessa di una rivoluzione che sembrava imminente, anzi già arrivata. Paradise now, predicava il Living Theatre.

Ma è Lather, una canzone dei Jefferson Airplanes dedicata a un reduce del Vietnam, che torna pazzo dalla guerra, a permettere il cortocircuito che ci riporta subito all’oggi, orbo delle illusioni rivoluzionarie di allora ma ancor più dominato da insensati scenari di guerra. Pippo legge la lettera che una donna gli ha scritto da una zona di guerra. Non si fanno nomi, ma non ci vuol molto a capire che si tratta di Gaza sotto bombardamenti da oltre un anno.

Le ultime parole Delbono le prende in prestito a Gianni Celati: “Tutto quello che si sa è che bisogna continuare, continuare, continuare. Come pellegrini nel mondo, fino al risveglio, se il risveglio verrà” (Gianni Manzella, Delbono, Luca Sossella Ed., 2024, p. 201).


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