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Torna il sangue in Siria: attentato contro i cristiani. Almeno 25 morti

Le parole in arabo si susseguono lente. Si prega Allah, Dio, che è padre onnipotente, creatore del cielo e della terra. I fedeli pensano ai propri cari, a chi c’è ancora e a chi non c’è più, magari portato via dalla guerra civile che ha piegato la Siria per più di dieci anni. Poi nella chiesa di Mar Elias, a nord di Damasco, entra qualcun altro, un kamikaze dell’Isis, che invoca un altro Dio e dice che è grande – Allah akbar -, sparando e facendosi saltare in aria e portando con sé almeno venticinque persone. Venticinque cristiani che lasciano il proprio corpo diventando spirito e, secondo la tradizione, si guadagnano il paradiso attraverso il sangue. Del resto, anche il Figlio del Dio che venerano ha riscattato l’umanità versando il proprio. Sono i nuovi martiri.

Le agenzie battono la notizia e, finalmente, si ricordano anche di questo Paese mediorientale. Il Libano, la nazione martoriata, è dimenticata. Oggi, dopo il bombardamento di Donald Trump, c’è solo l’Iran. Ma la vita, e soprattutto la morte, corre anche altrove. Nel caos delle agenzie, però, si torna a parlare anche della Siria. C’è voluto un attentato suicida, però, e la morte di venticinque persone. Da sei mesi, da quando Bashar al Assad ha lasciato il posto a Ahmad al Shara, il nuovo nome di Al Jolani, già a capo di Al Qaeda, questo Paese è sparito dai giornali. Eppure, in questi mesi di cose ne sono successe. E di vittime ce ne sono state tante. Gli alauiti vengono prelevati dalle loro case di notte e poi eliminati, spesso dopo atroci torturi. Vengono considerati complici del vecchio regime e, per questo, puniti. Alle ragazze succede anche di peggio. E pure ai cristiani. Perché della Siria multietnica e multireligiosa è ormai rimasto ben poco. La gente sparisce e non si sa che fine faccia, almeno per settimane o mesi. Fino a che non si trovano i cadaveri pieni di ferite e di segni di abusi. I giovani – nella Siria “liberata” – girano sfoggiando patch di Al Qaeda e dello Stato islamico. Le donne si velano contro la propria volontà. Celano il volto e, se riescono, anche la paura. E nessuno dice niente. E nessuno lo racconta. Perché di questo Paese, diciamoci la verità, oggi non importa nulla a nessuno. O almeno non importerà fino a quando il Santuario di Al Qaeda non si sveglierà nuovamente esportando il proprio carico di morte e distruzione.

Perché la nuova Siria di Al Shara – che era la stessa di Idlib, l’ultima roccaforte jihadista – fa comodo a tutti. Fa comodo a Donald Trump, che cerca di costruire un nuovo Medio Oriente e che ha già promesso, nel suo primo incontro con Al Jolani, aiuti e sostegno economico in cambio di una normalizzazione dei rapporti tra Siria e Israele. Fa comodo a Vladimir Putin, che così può concentrarsi sul fronte ucraino senza disperdere quattrini e militari. Fa comodo a Benjamin Netanyahu che, senza Assad e con una nuova guerra all’Iran, non deve più preoccuparsi della mezzaluna sciita che faceva passare armi e uomini per attaccare Israele. Fa comodo ai Paesi del Golfo che, finalmente, vedono fruttare gli “investimenti” fatti in quattordici anni di conflitto per eliminare il dittatore alauita. E fa comodo anche alla maggior parte dei siriani, stremati da una delle guerre più sanguinose degli ultimi anni (almeno 500mila morti, poi si è smesso di contarli perché erano troppi). Ma dietro a questa cortina di silenzio si continua a morire.

E quel Paese, un tempo laico, sta diventando sempre più simile ai regimi islamisti più radicali. E chi sotto Assad era disposto a parlare – anche per criticare, seppur minimamente, il regime – questa volta tace. La paura è più grande. E porta il colore delle bandiere nere.


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