Tool, violenza, espiazione, cambiamento | Indie For Bunnies

L’umanità è intrinsecamente malvagia e solamente uno slancio verso la catarsi e una coraggiosa trasformazione individuale possono permetterci di evolvere e di superare il nostro naturale stato di violenza, di auto-lesionismo e di bestialità. Ai Tool ciò era evidente sin da “Ænima”, album pubblicato nel 1996, perfetta sintesi sonora di quel processo di purificazione basato su “anima” ed “enema”, processo che la band americana contrappone, come unica possibilità di salvezza, alla diffusa desensibilizzazione della società moderna.
Un cammino concettuale e musicale che, nel 2006, conduce a “Vicarious”, impetuosa ed incalzante critica al consumismo globale e alla corruzione mediatica, e, infine, nel 2019, a “Fear Inoculum”, lavoro incentrato sul tema della paura inoculata nei singoli individui ed utilizzata come vile strumento di persuasione, di controllo, di propaganda e di coercizione.
I Tool non hanno mai mostrato, invece, né paura, né timore, nel sollevare il velo di infida ipocrisia e di sciocco perbenismo che riveste, giustifica e protegge le nostre azioni e i nostri comportamenti più scellerati e meschini; già nel 1993 con “Prison Sex”, contenuta nell’album “Undertow”, affrontavano, infatti, lo scottante tema degli abusi sui minori, evidenziando come, molto spesso, la vittima può arrivare a trasformarsi nel carnefice e rischiare di perpetuare quello che è un aberrante, abietto ed infame ciclo di violenza: “do unto others what has been done to me“.
Fai agli altri ciò che è stato fatto a me.
Una spirale distruttiva, che la band rappresenta con la celebre sequenza di Fibonacci, che si espande nelle ritmiche e nella metrica testuale di “Lateralus” (“spiral out, keep going“), conducendoci verso l’estrema disconnessione e la distruzione di qualsiasi relazione umana, nel mentre che i pezzi a cui fa riferimento “Schism” – pezzi del nostro mondo, pezzi di noi stessi, pezzi della nostra memoria, pezzi della nostra storia passata, pezzi della nostra umanità – continuano, inarrestabili, a cadere: “I know the pieces fit ‘cause I watched them fall away“.
E, quando saremo completamente svuotati, ci resterà, purtroppo, soltanto il rancore, il vero ostacolo a qualsiasi cambiamento, come viene evidenziato, in “The Grudge”, da quel breve e potente verso, “let go“; due semplici parole che ci esortano, appunto, a non trattenere più la negatività, il male, la rabbia, l’odio e il livore dentro di noi, se vogliamo avere, davvero, e non solamente a parole, un minuscolo barlume di speranza.
Intanto la musica e, soprattutto, le esplorazioni metalliche e narrative dei Tool negli abissi più oscuri dell’animo umano, creano un appassionante e prezioso parallelo con la poesia più introspettiva, crepuscolare e meditativa, ad iniziare da “Il Corvo”, celebre poesia di Edgar Allan Poe che esplora la disperazione, il turbamento e l’avvilimento umani, nonché la conseguente discesa nella dimensione perduta ed infernale della follia, nella quale risuona un’unica risposta: “nevermore, “”mai più”. Risposta che non intende fornire alcun chiarimento e alcuna spiegazione, ma solo torturare il narratore, l’ascoltatore, il cittadino, l’essere umano, in quanto il corvo non è altro che il simbolo di un meccanismo e di un sistema di potere, pre-ordinato e malvagio, che non alcun bisogno di mutare e di migliorare, perché esso trae tutta la sua forza dal logoramento e dall’esaurimento delle creature che vengono intrappolate nella sua sfera oscura di controllo e di manipolazione.
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