Cultura

Tombstones In Their Eyes – Asylum Harbour

Psichedelia, stoner e shoegaze sono le tre stelle che brillano nel cielo dei Tombstones In Their Eyes, una band losangelina attiva da dieci anni che ancora si muove nel sottobosco musicale statunitense. La speranza è che “Asylum Harbour”, il loro nuovo album pubblicato dalla Kitten Robot Records, possa portarli a ottenere le attenzioni che meritano. Il gruppo capeggiato dal cantante e chitarrista John Treanor, infatti, dimostra di avere tutte le capacità per lasciare un segno profondo nelle orecchie degli ascoltatori che amano il grezzo miscuglio sonoro che viene a crearsi quando distorsioni “pelose” si fondono con melodie dal gusto pop.

Credit: Karin Johansson

A un’aggressività figlia del garage rock si accosta la grazia di chi sa cesellare melodie di limpida bellezza, come quelle che contraddistinguono la placida ballad “I’m Not Like That”, la folkeggiante “Gimme Some Pain” e le ben più energiche “Sweet As Pie” e “Mirror”, canzoni dalle atmosfere sognanti in cui power pop e stoner sembrano andare a braccetto. Il gioco di incastri tra voci maschili e femminili, sapientemente guidato da Treanor e Courtney Davies, dà vita ad armonie raffinatissime in grado di fare bella figura anche in contesti molto fragorosi come quelli di “I Like To Feel Good” e “In Your Eyes”, dove a regnare incontrastata è la chitarra fuzz.

Questi Tombstones In Their Eyes sembrano volerci dire che sì, può esistere una via “accessibile” a sonorità non sempre di facile fruizione come le tre citate a inizio recensione. Nelle dieci tracce che compongono “Asylum Harbour” c’è un’insospettabile anima pop a brillare sulla cima di uno psych-rock dal gusto molto moderno, di spessore e affascinante, impreziosito dal mood etereo dello shoegaze e irrobustito da riff modellati sul marchio “desertico” dello stoner.

Una piacevole scoperta passata un po’ inosservata sul finire dell’anno scorso, in quei mesi pre-natalizi tradizionalmente carichi di uscite interessanti. La recuperiamo assai volentieri adesso, nella speranza che il futuro del gruppo californiano continui a essere all’insegna di una contaminazione rock ben calibrata ma mai cervellotica o fine a sé stessa.


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