tollerato, ma meglio se muto
di Francesco Valendino
In un Paese dove la libertà di stampa è un pilastro costituzionale, il governo Meloni sembra aver intrapreso una crociata per proteggerla… da se stessa. Negli ultimi tre anni, i partiti di maggioranza – Fratelli d’Italia in testa, con Lega e Forza Italia al seguito – hanno dispensato critiche a Sigfrido Ranucci e al suo Report come se fosse un buffet all you can eat.
Meloni ha espresso “piena solidarietà” e “ferma condanna” dopo l’attentato del 17 ottobre 2025, quando un ordigno è esploso sotto l’auto di Ranucci, ma questo arriva dopo anni di attacchi sistematici che hanno creato un clima teso. Prima, Fratelli d’Italia definiva Report una “trasmissione utile solo a diffamare”, con querele per inchieste su Ignazio La Russa (“La Russa Dynasty”, legami neofascisti) e sul padre di Giorgia Meloni. Il ministro Crosetto lo ha chiamato “plotone di esecuzione”, mentre Urso ha presentato quattro querele in due anni, Lollobrigida ha accusato la Rai di “aggredire i nostri prodotti” e Santanchè di “accanimento”.
Non dimentichiamo le minacce anonime accumulate: lettere, pedinamenti, e ora una bomba, che Ranucci definisce “salto di qualità preoccupante”.
Pd e M5s hanno chiesto al governo di riferire in aula, ma la destra ha trovato modi per “mettere le mani su Report”, come con una circolare Rai che ne limita l’autonomia editoriale, rendendo più difficile il lavoro investigativo.
Più in generale, le dichiarazioni contro la stampa suonano come un valzer di lamentele orchestrate con maestria. Meloni, che nel 2024 ha risposto a sole 139 domande giornalistiche, preferisce i social ai confronti diretti, accusando i media di “fake news” – ironico, visto che i report Ue segnalano “rischi per la libertà di informazione” sotto il suo esecutivo. Un fuorionda l’ha colta a criticare i giornalisti durante un vertice internazionale, mentre Salvini e soci tuonano contro “giornalisti faziosi”. Risultato? L’Italia è scivolata al 46° posto nella classifica di Reporters Without Borders nel 2024, con un picco di segnalazioni su attacchi alla stampa dal governo Meloni in poi.
L’Ue ammonisce: troppe aggressioni fisiche, intimidazioni e ingerenze sulla Rai, che ormai sembra un’estensione del potere esecutivo. Meloni, in conferenza stampa, nega limitazioni, ma omette dettagli su par condicio e carcere per giornalisti. E una sua dichiarazione in Parlamento è stata definita “una delle più gravi mai pronunciate” da un premier, un vero capolavoro di retorica.
Quanto ai provvedimenti, ah, che raffinatezze legislative! Il “decreto bavaglio” del 2024 vieta la pubblicazione di atti d’indagine, con multe salate per chi osa informare i cittadini, trasformando il diritto all’informazione in un lusso per pochi. Proposte per criminalizzare le fughe di notizie, querele temerarie ignorate in Parlamento, e tagli ai programmi scomodi come Report, ridotto nelle puntate per “ragioni di budget”. Controllo governativo sulla Rai, vendita di Agi contestata, e intimidazioni mafiose persistenti che si intrecciano con quelle politiche.
L’European Media Freedom Act del 2025 impone correttivi per garantire indipendenza, ma l’Italia continua a perdere posizione, arrivando al 49° nel 2024-2025. È un modo sottile per dire: “Libertà di parola? Sì, ma solo se non disturba il potere e rimane entro confini ben definiti”.
In fondo, in questa Italia, la stampa è come un invitato scomodo a una cena di gala: tollerato, ma meglio se muto e invisibile. L’attentato a Ranucci, con Schlein che denuncia “libertà in pericolo con l’estrema destra”, è un campanello d’allarme che riecheggia in un contesto di crescenti tensioni. Chissà, forse un giorno torneremo a celebrare la democrazia senza ironia. O forse no, preferendo il silenzio dorato che tanto piace ai potenti dimenticando che dovrebbero essere i governi a temere il popolo e non vice versa.
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