Tira e molla sulla tregua tra Iran e Israele: perché è pericoloso e chi rischia di più
La tregua tra Israele e Iran proposta dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump è stata illusoria: questa notte, dopo qualche ora in cui si pensava che Tel Aviv e Teheran potessero deporre le armi, grazie anche alla mediazione USA, del Qatar e probabilmente cinese, l’Iran avrebbe lanciato una salva di razzi su Israele, mettendo nel mirino il nord del Paese.
Il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, aveva dichiarato di aver ordinato un’immediata rappresaglia contro Teheran. “Ho dato istruzioni alle Forze di Difesa Israeliane (IDF) di rispondere con forza alla violazione del cessate il fuoco da parte dell’Iran con attacchi potenti contro obiettivi del regime nel cuore di Teheran”, ha detto Katz in una nota. “Alla luce della completa violazione da parte dell’Iran del cessate il fuoco dichiarato dal presidente degli Stati Uniti e del lancio di missili verso Israele… ho dato istruzioni alle Forze di Difesa Israeliane… di continuare l’intensa attività di attacco a Teheran per contrastare obiettivi del regime e infrastrutture terroristiche a Teheran, in continuità con l’attività svolta ieri” ha precisato il ministro.
I media statali iraniani hanno risposto alle accuse di Israele, affermando che l’Iran nega le notizie secondo cui avrebbe violato il cessate il fuoco e se le immagini dell’attacco che ci sono giunte attraverso i social sono vere, sembrerebbe che a colpire siano state delle milizie collegate all’Iran. I resti del vettore mostrato sembrano infatti appartenere più a un razzo che a un missile balistico, e i razzi campali hanno una gittata più corta rispetto ai vettori balistici, quindi sono stati lanciati da un territorio al di fuori dell’Iran più prossimo a Israele.
This is a rocket fired at northern Israel – not during war, but during a so-called ceasefire.
Iran continues to show its true nature as a terror state and a regional threat. pic.twitter.com/L9jl0CjuDG
— Israel in the UK (@IsraelinUK) June 24, 2025
Sono ore febbrili, e le ultime notizie che ci giungono da oltre Atlantico riferiscono che il presidente Trump sarebbe riuscito a ottenere da Israele un attacco simbolico, o addirittura a scongiurarlo. “Israele non attaccherà l’Iran. Tutti gli aerei torneranno a casa, mentre faranno un saluto amichevole all’Iran. Nessuno sarà ferito, il cessate il fuoco è in vigore!”. Così ha riferito Trump su Truth aggiungendo in un altro post che “l’Iran non ricostruirà più le sue strutture nucleari”.
In ogni caso, la tregua è durata solo poco più di due ore, ed ora tutto il mondo si chiede cosa succederà, dopo che la Casa Bianca aveva affermato di aver posto termine alla “guerra dei 12 giorni” tra Israele e Iran proprio grazie al poderoso raid aereo che ha colpito tre siti nucleari iraniani (Fordow, Natanz e Isfahan) nella notte tra sabato e domenica scorsi, se il conflitto dovesse infiammarsi nuovamente.
Sono in molti a perderci con la ripresa dello scontro armato tra le due parti. Gli Stati Uniti, che pensavano di poter risolvere la questione con una singola azione bellica, si troveranno costretti a mantenere nell’area mediorientale assetti militari importanti per proteggere le loro basi e i loro interessi in via precauzionale. Soprattutto dovranno mantenere il sistema di difesa aerea offerto a Israele, consistente nel Thaad (Terminal High Altitude Area Defense) e nei cacciatorpediniere classe Arleigh Burke dotati di sistema Aegis e continuare a rifornirlo di preziosi missili, provocando quindi un drenaggio di risorse che sono più necessarie altrove. Nella fattispecie, gli Stati Uniti stanno cercando, alquanto frettolosamente, di chiudere le “partite” in Europa e Medio Oriente per concentrasi sul Pacifico Occidentale in funzione del contenimento dell’espansionismo e aggressività cinese, applicando il concetto di deterrenza convenzionale.
Anche la Cina ha molto da perdere nel proseguimento del conflitto: l’Iran è entrato nei suoi progetti economici legati alla Bri (Belt and Road Initiative) e rappresenta il primo produttore di idrocarburi per Pechino. Un’instabilità prolungata, con Israele che ha già dimostrato di voler colpire le installazioni petrolifere iraniane, mette a rischio gli interessi economici cinesi in tutta la regione e la sicurezza economica interna.
La Russia, partner strategico dell’Iran, ha tutto l’interesse a che i due contendenti depongano le armi avendo relazioni con entrambi sebbene di stampo diverso: in Israele esiste una numerosa comunità ebraica di origine russa che non ha mai troncato i legami col Paese d’origine. Mosca conta anche sull’Iran per il suo conflitto in Ucraina: sebbene alcune classi di droni one way di origine iraniana vengano ormai prodotte su licenza in Russia (gli Shahed), comunque Teheran fornisce materiale bellico per lo sforzo militare russo e un conflitto prolungato potrebbe drenare queste risorse. L’Iran è anche un Paese sfruttato da Mosca per la triangolazione del commercio di beni sotto embargo essenziali per la produzione bellica e tecnologica russa.
I maggiori attori dello scenario globale, quindi, hanno solo da perdere dal proseguimento del conflitto, ed è ragionevole supporre che faranno pressione sulle parti in causa per farlo terminare, ma sia Teheran sia Tel Aviv hanno dimostrato di essere poco inclini ad ascoltare i consigli esterni su certi argomenti. Molto difficilmente gli Stati Uniti chiuderanno i rubinetti del sostegno militare ed economico a Israele, e molto difficilmente la Cina cesserà il partenariato economico e strategico con l’Iran per ricondurli a più miti consigli. In ogni caso, la minaccia di azioni in tal senso potrebbe far cessare lo scontro armato e aprire a un nuovo tavolo di trattative sul nucleare, dove stavolta potrebbe essere presente anche la Cina.
Una cosa è certa: se nel 2015, ai tempi del Jcpoa (il trattato sul nucleare iraniano voluto dalla presidenza Obama), l’Europa ha avuto un ruolo chiave, ora è del tutto estromessa da ogni tipo di decisione.