These New Puritans – Crooked Wing
Un lustro circa di silenzio, ed è come se i fratelli Barnett avessero fatto ritorno da un pellegrinaggio interiore. “Crooked Wing” non è un disco che cerca conferme, ma un’opera che sembra voler edificare un luogo a parte, in equilibrio tra flussi sacrali e ombre proiettate dalle macchine. Un album che si muove come un organismo dalla sapienza antica, che respira all’unisono con il tempo, sfidando il tempo attuale.

L’apertura, rarefatta e solenne, è una soglia: un coro angelico introduce subito una tensione verticale, uno slancio verso l’alto che percorre l’intero disco. Non è l’inganno di un alone estetico, l’illusione proiettata da un inferno celestiale, ma è il preludio di una vertigine di fronte a una poderosa architettura d’anime che hanno vissuto e oltrepassato la dimensione del conflitto: “Crooked Wing” mette in scena allestimenti sonori e sensazioni costruiti su contrasti che non cercano riconciliazione, ma convivono per attrito.
E se un coro d’angelo apre il disco, un altro coro lo chiude, pacificando, riassemblando i frammenti, consolando, aprendosi forse alla speranza dell’attesa. “I am waiting / I am deep underground / I am listening / For any sound“: è una morte? È una resurrezione? È solo un aspettare nel vuoto? È una resa? È un ponte verso il domani? È una promessa nascosta in un abisso d’oblio?
Le percussioni sono rare, e quando appaiono sono massicce, ma anche chirurgiche (“A Season in Hell”, “Wild Fields”), mentre elettronica e tastiere emergono come presenze liturgiche e gli archi tagliano la quiete con rigore geometrico. In queste costellazioni di suoni orbitali – punti, cerchi, traiettorie – si fa largo una visione più che mai cosmica: fragile ma determinata, eterea ma radicata.
La voce di Jack Barnett, meno austera e più esposta che in passato, sembra cercare conforto nel vuoto. E quando incontra quella di Caroline Polachek in “Industrial Love Song”, il suono e le parole si elevano in un rituale che lega macchine e carne, spirito e chimica, immaginando un impossibile amore tra due entità di metallo e pietra, tra metafora post-umana, burla malcelata e incubo/sogno post-tecnologico.
A tratti il disco si spinge in territori quasi ambientali, ma non cede mai ad un’impalpabilità senza contorni: ogni suono – forgiato in collaborazione col fido Graham Sutton dei Bark Psychosis – ha peso, gravità, direzione. E se le ultime tracce smussano l’intensità iniziale, lo fanno per lasciare spazio alla sedimentazione, al gesto finale di un’opera che preferisce il respiro alla stretta, scegliendo quindi una forma espressiva più aperta, ampia e distesa invece di puntare su un effetto chiuso, inutilmente teso o forzato. La carnalità meditabonda del precedente “Inside The Rose” qui si dissolve in parte, lasciando che una cifra stilistica più immacolata e al tempo stesso ancora più monumentale possa divenire protagonista: è uno sguardo non solo rivolto al sé ma rivolto proprio all’umano, inteso, probabilmente, come spirito in certo senso collettivo. O per meglio dire, al senso dell’umano – spiritualmente parlando – in ognuno di noi.
“Crooked Wing “ è una mappa sonora per chi ha imparato a muoversi tra i detriti e le stelle. Un lavoro che non cede alla semplificazione, e che proprio per questo sa colpire in profondità. Non ferendo, ma spingendo verso una trasformazione trascendente.
Source link