Cultura

The Darkness – Dreams On Toast

Gli si vuole bene ai The Darkness. Anche solo per tutto ciò che hanno rappresentato nei primi anni Duemila. “Permission To Land”, infatti, è uno di quei dischi che hanno segnato un’epoca, un periodo, il mio compagno di banco al liceo (ma questa è un’altra storia). Oggi, tra alti e bassi, i fratelli Hawkins sono arrivati alla prova in studio numero otto. E chi se lo sarebbe mai aspettato ai tempi degli scazzi di “One Way Ticket To Hell… And Back” e della (lunga) pausa intercorsa prima della pubblicazione di “Hot Cakes”.

Credit: Simon Emmett

Parliamoci chiaramente, cari lettori: la nuova fatica discografica dei Nostri, “Dreams On Toast”, non mi ha entusiasmato granché. E no, non si tratta della solita solfa legata al principio (decisamente boomeristico) del tipo “i primi dischi erano i migliori e bla bla bla“. No. La verità è che la versione 2025 della band inglese appare piuttosto opaca, stanca, scialba e non ispirata. Sì. “Dreams On Toast” è un album di maniera, ben confezionato, suonato con gran mestiere, ma a cui manca l’anima. Per carità, “Rock And Roll Party Cowboy” sarebbe pure un buon pezzo, con tutta quella carica rockettara che farebbe venir voglia di mimare un riff sotto la doccia persino a un monaco tibetano; e “I Hate Myself” rappresenta – senza ombra di dubbio – uno degli episodi meglio riusciti del disco, ma siamo così sicuri che nell’anno di grazia 2025 ci sia ancora bisogno dell’ennesimo album fotocopia di Justin e soci? Al tempo che verrà l’ardua sentenza.

Quella di umile scrivano come il sottoscritto, invece, non è per nulla positiva. Spiace. Sì, dai, “Hot On My Tail” è uno di quei pezzi – triti e ritriti – che potrebbe venir fuori da una di quelle cover band dei Queen che infiammano i giovedì sera dei pub britannici – anche italiani, una volta. Epperò, purtroppo, nel Vecchio, Vecchissimo Stivale, suonare uno strumento è diventato tristemente demodé, come il ciuffo di Larry Bird e il City di Guardiola – mentre “Mortal Dread” ha il merito di riciclare gli AC/DC decisamente meglio di quanto non facciano Angus Young e compari ad ogni (nuova) pubblicazione. Volendo, potremmo provare a salvare pure la traccia finale, “Weekend In Rome”, ben più originale rispetto al resto del lotto. 

Quel che (mi) rattrista fortemente, in verità, è l’entusiasmo quasi immotivato che il progetto in questione ha suscitato tra alcuni addetti ai lavori. Va da sé, naturalmente, che la regola del degustibus non est disputandum regni ancora sovrana e che ognuno, ovviamente (e per fortuna, aggiungerei) sia ancora libero di vedere in un disco tutto ciò che gli pare. Esaltarsi, però, per un album di siffatta dozzinalità, significa mettere ancor più in risalto quella buona dose di piattume (musicale) che si respira nel nostro Paese. In soldoni, gridare quasi al miracolo per un album come “Dreams On Toast” sa un po’ di Italia pre-MP3. E mentre il mondo va avanti a suon di nuove intuizioni sonore (e di gruppi con i fiocchi), noi ci sentiamo fighi fischiettando le melodie canzonatorie (ma rassicuranti) degli Hawkins bros. Che amarezza.


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