Cultura

The Bear – Stagione 4

Basta, Dio buono basta.

Si pensa spesso e volentieri quando in questa quarta stagione di “The Bear” continua a non succedere nulla, i momenti spot ufficio del turismo di Chicago e quelli di fotografia culinaria si moltiplicano come formiche all’umido d’estate, così come le canzoni, una volta cruciali e scelte con certosinità nerdosa, che ormai sono più delle parole.

Però poi dopo la prima metà qualcosa comincia a risolversi, in attesa della (si spera conclusiva) quinta stagione. E affiorano momenti lirici (il diamine di matrimonio), significati spinosi. Forse gli attorcigliamenti estremi, che certo non giustificano il parossistico stallo stilistico, (ben, in caso fosse così) rappresentano il processo psicoanalitico che in un modo o nell’altro i personaggi vanno percorrendo.

E quindi l’orso non era la cura. La panacea è, come doveva essere, i panini untuosi arravogliati nella carta marrone di “The Beef Of Chicagoland”. Carm inseguiva la stella, ma in realtà voleva fare solo fare un pollazzo al forno alla mamma. E così via.

E Richie continua ad essere uno dei migliori personaggi mai scritti e interpretati del decennio. Nell’ultimo episodio per un attimo ho pensato “mammamia, Ebon ora gli tira davvero una capocciata a ‘sto cretino“.


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