Thats What The Music Is For: Canzoni nella nebbia :: Le Recensioni di OndaRock
Hanno avuto ragione, i fan degli Apartments, nel voler finanziare dieci anni fa il ritorno in scena della formazione australiana capitanata da Peter Walsh (musicista che ha mosso i primi passi nei tardi anni 70 con i Go-Betweens). Quel che è accaduto dopo la campagna di crowdfunding per l’album “No Song, No Spell, No Madrigal” è un piccolo miracolo.
Dopo diciotto anni d’assenza, la band è rinata come fenice dalle ceneri. “That’s What The Music Is For” è un progetto intenso e raffinato al pari dei precedenti se non ancor più solido. Il colto chamber-pop degli Apartments è un continuo susseguirsi di istantanee che raccontano di solitarie e fredde notti trascorse in cerca di una spalla sulla quale adagiarsi, fugace consolazione prima di essere rapiti dall’oblio dell’indifferenza e dei bicchieri d’alcol consumati senza averne poi tanto bisogno.
Quello degli Apartments è un mondo a parte, un’oasi dove la squisita perfezione degli arrangiamenti e la fragilità di una voce consumata dal tempo risuonano come un urlo poetico affidato al vento e alle intemperie autunnali. Peter Walsh scava nelle profondità dell’anima con tratteggi lirici e musicali che hanno la stessa intensità dei Blue Nile (la stupenda e struggente “It’s A Casino Life”) e strappa un sorriso con un lieve vibrare di chitarra e un crescendo ritmico che pulsa come il cuore al risveglio dopo un sogno (“A Handful Of Tomorrow”).
Non c’è mai compiacimento o languore nelle malinconiche composizioni di Walsh. A volte un alito di fiati e ottoni tiene desta la vitalità di ballate appena più meste e indolenti (“Another Sun Gone Down”), ma è soprattutto la solida formazione di ben otto elementi la sorpresa di “That’s What The Music Is For”: l’amalgama di voci e strumenti della title track è pura perfezione sonora ed emotiva, un lento crescendo che non punta all’enfasi quanto al dettaglio e a quella vulnerabilità poetica nella quale ognuno può riconoscersi. Queste sono canzoni che non temono l’usura del tempo: passato (“The American Resistance”) e presente (“Afternoons”) sono raccontati con egual asprezza e candore, affidando a poche note di piano o chitarra un nugolo di emozioni non sempre facili da dominare.
Le canzoni degli Apartments non sono idonee a un consumo fugace e distratto, sono racconti di dolore e rinascita (Walsh sciolse la band nel 1997 a causa della morte del figlio), incorniciati con una cura artigianale che rimanda ai Blue Nile di “Hats“: “Death Would Be My Best Career Move” ha lo stesso incipit di “Over The Hillside” della band scozzese.
“That’s What The Music Is For” è un disco notturno, autunnale, ma adatto a tutte le stagioni del cuore. Ad ogni ascolto le otto tracce rivivono con nuove sfumature di colore, ad alcune è concesso perfino di librarsi al di sopra delle nuvole grigie che dominano in copertina. Ed è quello che accade nell’ultima traccia, “You Know We’re Not Supposed To Feel This Way”, un brano agrodolce dai toni lievemente epici che la band incornicia con una performance ricca di pathos, dove ogni elemento strumentale si incastra come in un mosaico, un susseguirsi di increspature e onde che si adagia su paesaggi sonori ricchi di malinconia, per poi far riaffiorare la speranza.
25/10/2025




