Terre rare, l’Europa reagisca – il Giornale

Mentre i porti europei e americani vengono invasi da navi cariche di auto elettriche cinesi, un’altra manovra, ben più silenziosa ma devastante, si consuma a monte della filiera industriale globale: il controllo delle terre rare. La strategia di Pechino è tanto raffinata quanto brutale: da un lato, inondare i mercati occidentali con veicoli elettrici e ibridi a basso costo, dall’altro stringere il controllo su minerali strategici come titanio e tungsteno e terre rare utilizzate per la produzione dei magneti necessari a far funzionare oltre alle auto elettriche anche pannelli solari, pale eoliche e apparecchiature militari.
Contrariamente al nome, le terre rare (REEs), specialmente quelle con peso atomico più basso, sono piuttosto abbondanti nella crosta terrestre. Le riserve globali ammontano a circa 90 milioni di tonnellate, circa 230 volte la produzione mineraria del 2024, pari a 390.000 tonnellate. Tuttavia, questi minerali sono relativamente difficili da estrarre e raffinare. Il che rende i processi altamente energivori e inquinanti. La catena di approvvigionamento è fortemente concentrata in Cina, che rappresenta circa il 70% della produzione mineraria globale e circa il 90% della produzione di raffinati.
Il nuovo sistema di licenze per l’esportazione delle terre rare, introdotto da Pechino, ha messo in ginocchio l’industria dell’auto globale. Nei giorni scorsi Ford ha interrotto la produzione del Suv Explorer per una settimana nell’impianto di Chicago, mentre Suzuki Motor ha sospeso quella della Swift dal 26 maggio al 13 giugno. Ma anche in Europa le catene di fornitura soffrono, strozzando sul nascere la timida ripartenza del comparto che si stava prospettando dopo due anni di rallentamenti. Restrizioni, quelle sulle materie prime da parte del Governo di Pechino, iniziate già nell’estate 2023 e pertanto non imputabili esclusivamente ai dazi imposti da Donald Trump. Così come Mosca aveva iniziato a limitare l’export di gas mesi prima l’aggressione russa dell’Ucraina, Pechino sta attuando lo stesso processo di militarizzazione, facendo leva sulla leadership nel comparto delle materie prime.
Eppure, la maggior parte degli «analisti» di turno continua a fissare lo specchietto retrovisore della geopolitica, affannandosi a interpretare l’ennesimo post di Donald Trump su X o lo show mediatico del suo scontro con Elon Musk. Tra l’altro l’interruzione del sostegno federale ai veicoli elettrici uno dei motivi della rottura tra i due evidenzia quanto l’amministrazione Usa abbia compreso che, senza accesso garantito alle materie prime, l’elettrico comporta enormi rischi strategici perché alimenta una seconda dipendenza strategica, dopo quella dal fossile.
L’Europa, che ha scelto la via dell’elettrificazione forzata senza preoccuparsi di costruire una propria filiera di approvvigionamento, si ritrova così oggi prigioniera. Durante l’ultimo incontro a Parigi tra il ministro del Commercio cinese Wang Wentao e il commissario europeo Maros Sefcovic, Pechino ha concesso aperture solo verbali. Dietro sorrisi e dichiarazioni di buona volontà, resta il dato essenziale: il Pcc controlla l’export e decide chi produce e chi no. Sefcovic propone esenzioni per prodotti a uso civile o licenze annuali per le aziende «affidabili». Ma in un sistema dove è Pechino a definire cosa sia affidabile, l’Europa si riduce a mendicare l’accesso a risorse strategiche. In tutto questo, la lezione è semplice quanto ignorata: chi controlla le terre rare, controlla il futuro dell’industria.
C’è da dire che quealche timido passo Bruxelles lo ha compiuto approvando 13 nuovi progetti strategici su materie prime critiche, con un investimento complessivo stimato di 5,5 miliardi di euro. Ma si tratta di passi ancora troppo timidi.
Al fine di evitare la distruzione della nostra industria, occorre sospendere sine die il green deal, estendere il muro del protezionismo anche ai prodotti finiti (dall’auto agli elettrodomestici) e sviluppare contestualmente un piano per la costruzione di impianti di raffinazione di metalli sparsi per l’Europa. Un piano di azione necessario non solo per riprendere in un secondo momento il tema dell’elettrificazione, ma anche per garantire il buon esito del piano di ripristino della capacità produttiva in ambito militare
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