Terni, Piombino, Taranto e Genova i poli del piano siderurgico nazionale. Scontro su Ilva
di M.R.
«Il Piano siderurgico nazionale prende vita su quattro poli: Terni, Piombino, Taranto e
Genova. È di fronte a questa sfida, la sfida tra il continuare a produrre e, quindi, a vendere o l’andare a comprare all’estero, magari dal mercato cinese, che abbiamo scelto con coraggio l’unica strada credibile e percorribile senza esitazioni e doppiogiochismo. Comprendo,
ma non condivido, chi ha come riferimento l’uomo che ha smantellato l’industria pubblica
italiana pezzo per pezzo, ad appannaggio di appetiti stranieri e che ha consegnato il Made in Italy alle multinazionali, svendendo la nostra Nazione. Ai fan di Romano Prodi rispondiamo che il nostro chiaro obiettivo è la riconversione dell’ex Ilva coniugando la sostenibilità ambientale ed economica, tutelando la salute pubblica, l’occupazione e la continuità produttiva degli impianti».
Decreto ex Ilva Così alla Camera il deputato di Fratelli d’Italia Andrea Volpi, nel corso del dibattito sul futuro dell’acciaieria pugliese che ha portato all’approvazione deldecreto legge dedicato che reca misure urgenti per la continuità produttiva, il rilancio industriale e il sostegno occupazionale. La legge prevede un finanziamento statale fino a 200 milioni di euro per il 2025 destinato a Ilva in amministrazione straordinaria, per interventi urgenti sugli impianti e per garantirne la sicurezza. Il prestito, a tasso di mercato e con durata massima di 5 anni, potrà anche essere trasferito ad Acciaierie d’Italia. La restituzione dovrà avvenire entro 120 giorni dalla vendita degli impianti o, al massimo, entro cinque anni, con priorità rispetto ad altri debiti.
Volpi «L’Italia – ha detto ancora il Meloniano nei giorni scorsi – ha già pagato i danni dell’ideologia green – l’abbiamo visto sull’automotive, lo abbiamo visto sul mercato connesso all’automotive -, ma a noi non interessa solo parlarne, a noi interessa realizzarla in modo compatibile con il mercato e mantenendo la produzione. E lo faremo attraverso questo piano di decarbonizzazione del sito di Taranto, che si fonda su due pilastri: la graduale sostituzione degli altiforni con tre forni elettrici in otto anni e con la realizzazione degli impianti di preridotto, essenziali per alimentare i forni elettrici. Attraverso questi impianti l’ex Ilva potrà produrre acciaio pulito e ad alto valore aggiunto destinato a settori strategici, diventando così il più evoluto e competitivo impianto siderurgico in Europa. Tale tecnologia innovativa sarà realizzata dalla società Dri d’Italia Spa, partecipata da Invitalia con un fondo pubblico da un miliardo di euro».
Acciaio italiano «L’impegno del Governo, oltre alla realizzazione degli impianti per i preridotti, che saranno sufficienti ad assicurare un congruo approvvigionamento degli stessi, è volto a garantire un sufficiente volume di rottame ferroso e a contribuire alla revisione di regole europee per favorire proprio l’acciaio green. È grazie al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale, la più avanzata in Europa, che andremo avanti per tutelare la salute e sarà scongiurata la chiusura del polo siderurgico italiano. Con questa autorizzazione l’ex Ilva potrà continuare a produrre 6 milioni di tonnellate di acciaio
all’anno usando gli attuali forni in attesa della realizzazione dei tre nuovi forni elettrici, e
tale intervento – e questo è un passaggio che mi sento di sottolineare – ha fatto sì che si
potesse garantire l’occupazione a oltre 25.000 persone tra diretti e indotto».
Ambiente Di tutt’altro avviso l’opposizione: «Dieci volte inferiori sono le capacità cognitive dei bimbi nati e cresciuti nei quartieri più vicini all’ex Ilva, a causa dell’esposizione ad agenti inquinanti come arsenico e piombo (su Nature); 600 sono i bambini che, nell’arco di 14 anni, dal 2002 al 2015, sono nati nel Sin di Taranto con malformazioni e più di 40 sono quelli che hanno sviluppato un tumore nel primo anno di
vita; 4.876 sono gli operai in cassa integrazione, mentre facciamo questa discussione in Aula. Questi – ha illustrato il deputato Pd Ubaldo Pagano – sono i numeri che raccontano la cifra emotiva della tragedia che stanno vivendo le comunità territoriali e le lavoratrici e i lavoratori coinvolti. Noi – ha aggiunto – abbiamo avuto il coraggio di fare i conti con il nostro passato e, soprattutto, abbiamo avuto la dignità di chiedere scusa (Applausi dei
deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Voi, invece,
continuate a nascondere la testa sotto la sabbia».
Pagano «I piani di decarbonizzazione, secondo gli ultimirumors, dovrebbero durare all’incirca 8 anni, però l’Aia che avete rilasciato qualche giorno fa, curiosamente, autorizza una produzione di 6 milioni di tonnellate a ciclo integrale per i prossimi 12 anni, 4 anni in più. Perché? Ma non solo. Perché nei prossimi 12 anni l’ex Ilva produrrà il triplo di quanto fa adesso, utilizzando gli stessi identici impianti che sono stati chiusi perché rendevano insopportabile il bilanciamento tra interessi industriali e diritti umani? Basta opacità, basta giri di parole – ammoniscoo i Dem -, basta finzione e teatrini inutili. La situazione dell’ex Ilva è critica, la fabbrica è a pezzi, le bonifiche sono ferme, ciò che state creando sono soltanto i presupposti per un decennio d’inferno. Una soluzione ci sarebbe, abbiamo provato a proporvela nella fase emendativa, e lo sapete benissimo anche voi: accompagnare
direttamente, attraverso le articolazioni dello Stato, attraverso soldi pubblici, il processo
di transizione dell’ex Ilva, senza davvero produrre acciaio primario, in virtù dell’interesse
strategico dello Stato. Perché – guardate – o è lo Stato a fare da garante per lo spegnimento
dell’area a caldo a carbone nel più breve tempo possibile oppure nessuno sarà disposto a farlo; o è lo Stato ad assicurare il diritto alla salute e alla tutela dell’ambiente oppure nessuno saprà dare le stesse garanzie. Solo dopo, quando avremo una fabbrica in grado di produrre in modo ambientale ed economicamente sostenibile, si potrà parlare di cessione, non prima».
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