Tancredi Bianchi e il valore dei maestri
Saggi pensosi e articolesse dalla prosa fluviale, negli ultimi anni, sono zeppi di lamenti da parte dei loro autori (noi, ahinoi, compresi) sulla crisi dei corpi intermedi, del principio di autorità e il conseguente smarrimento di più di una generazione, priva di solidi punti di riferimento.
Un libro come Facciamo cinquecento per uno, in cui Luigi Guatri e Marina Brogi ricordano Tancredi Bianchi – tre nomi che per i lettori di questo giornale non hanno bisogno di presentazioni – può essere un serbatoio da cui attingere nei momenti di sconforto. Il volume vuole ricordare l’“amico di una vita” per il primo e il maestro di vita, oltre che di accademia, per la seconda, ma è in verità qualcosa di molto più ricco e sfaccettato. Il testo, infatti, restituisce la biografia, non di una soltanto, ma di tre personalità illustri, da cui anzitutto trarre esempio.
Certo, quando nelle prime pagine si legge che Guatri e Bianchi, sostanzialmente coetanei (il primo del 1927, il secondo di un anno più giovane), nell’estate del 1950, nel secondo dopoguerra che riassaporava la vita, a Cattolica, invece di sfrenarsi nei balli passeggiavano per le vie della città adriatica discutendo di economia aziendale, si sarebbe tentati di pensare a che vite noiose e deprimenti aspettavano quei due virgulti. E invece, tornando seri, questo libro presenta, vivissime, le figure di tre intellettuali che, nati nell’accademia, non solo non disdegnano, ma anzi ritengono fondamentale calare la propria scienza nel mondo. “Per gli aziendalisti l’attività professionale è il nostro esperimento”, così ammoniva Luigi Guatri.
Intendiamoci: siamo fuori dallo schema dell’agiografia stucchevole che, si capisce bene, non piaceva alla persona di cui si intende in primis raccontare la figura, tanto quanto non è nelle corde degli autori. Quanto al racconto, questo procede non soltanto tramite i ricordi di Guatri e Brogi, che ripercorrono le tappe dell’esistenza di Tancredi Bianchi, ma anche proponendo al lettore molti documenti, pubblici e privati, comunque solitamente non accessibili. Si va dalle lettere personali, agli interventi in occasione di ricorrenze, dalla presentazione di studi in onore alle lezioni di commiato dall’insegnamento, dal ricordo di amici ai discorsi tenuti in occasione della consegna di premi. Pensieri privati o introvabili, perché inediti o comunque di non facile reperimento, che hanno sempre, insieme a considerazioni legate alla circostanza a cui si riferiscono, riferimenti più ampi, a dimostrazione della statura dell’autore.
Questo pastiche di fonti determina un duplice (e piacevole) effetto per il lettore: la sensazione da un lato di vivere insieme ai protagonisti momenti decisivi, non solo della loro vita, ma del Paese, dall’altro di essere ammessi all’interno di un’intimità di sentimenti e intenti che legava tutti e tre.
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