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Taggami, ma di baci straziami: ovvero come «rimetterti sul mercato» se sei al «secondo giro» (ma non sai usare app e social)

Questo articolo è pubblicato sul numero 30-31 di Vanity Fair in edicola fino al 29 luglio 2025.

A 8 anni abbiamo visto Sapore di mare, a 11 ci siamo commossi per Bella in rosa, a 12 abbiamo aspettato di vedere Dirty Dancing, vietato sotto i 14, poi c’è stato Harry, ti presento Sally…, a 15 Pretty Woman, e a 19 Quattro matrimoni e un funerale. L’educazione sentimentale dei cinquantenni di oggi si basa su commedie romantiche senza cellulari: si bucava l’ora degli appuntamenti, ci si rincorreva sotto la pioggia e ci si buttava in piscina senza paura di avere un device in tasca, si stava anni senza incontrare un ex e non sapere che cosa avesse fatto nel frattempo, niente foto né chat. «Ho ritrovato un’agenda in cui avevo trascritto gli sms – preistoria – con quello che sarebbe diventato mio marito, le frasi più romantiche», racconta Francesca, neo separata. «Le nostre ultime chat invece avevano solo la lista della spesa… È che per me l’amore non è mai passato dai social». Oggi però il 40% degli utenti di Tinder (l’app di dating più diffusa, tipo l’Onu, in 190 Paesi) è over 30 e per l’Istat le seconde (o successive) nozze per almeno uno degli sposi sono state 44.320, il valore più alto mai registrato: i cinquantenni italiani al «secondo giro» aumentano. Hanno alle spalle una relazione di lungo corso, forse ci sono dei figli e, dopo l’elaborazione del lutto e delle fatiche, si riaffacciano all’annosa questione: con chi passerò il resto dei miei anni? O anche solo il prossimo weekend? «Mi sono rimesso in gioco a 49 anni, dopo una storia di 17», racconta Michele. «Non avevo più idea di come fosse l’universo femminile. Mi sono iscritto alle app di dating, ho usato meno Instagram, anche se ormai ha sostituito lo scambio del numero di telefono. Ho utilizzato tanto anche Telegram e WhatsApp, dopo i contatti tramite Tinder, Bumble, Hinge, Facebook Dating e così via, perché di solito la trafila è: app di dating, poi chat, poi ci si vede di persona».

E poi c’è Charlize Theron

Come ha detto lei stessa, raccontando il «circo», ossia l’esperienza non felicissima con le app di dating: «Chi diavolo ha tempo per appuntamenti, depilarsi e truccarsi? Ho due bambine che devono andare a scuola». Fate uno sforzo mentale e immaginate Charlize Theron «una di noi», faro di tutte quelle che non si trovano a loro agio su Tinder e simili, o che iniziano ad avvertire una dating fatigue, la stanca dopo la sbornia iniziale. «Entrando nel mondo degli appuntamenti digitali è del tutto normale sentirsi a disagio», spiega Vicki Pavitt, ricercatissima dating coach inglese, che aiuta persone «tra i 40 e i 55 anni che desiderano un partner ma trovano che il mondo degli appuntamenti sia fonte di stress, ansia e frustrazione». Per Pavitt «il meccanismo dello swipe lo fa sembrare più simile allo shopping che alla costruzione di un legame». E poi c’è il «caos emotivo»: «Una cliente era stata love bombed – inondata di affetto all’inizio – e ghostata poco dopo. Questo ha scatenato in lei forti sentimenti di rifiuto e l’ha lasciata confusa, chiedendosi se avesse fatto qualcosa di sbagliato. Il nostro intuito non mente: mostrare troppo affetto, e troppo presto, è un campanello d’allarme». Pavitt suggerisce di usare le app con «intenzione», seguendo 5 linee guida: chiarire i propri valori, quelli «non negoziabili»; considerare le app come uno strumento per incontrare persone, non come una misura del proprio valore; cambiare prospettiva: da «piacerò?» a «come mi sento io con questa persona?»; calmarsi prima di aprire Bumble o simili, non usarli quando si ha fame, si è arrabbiati, soli o stanchi, e limitare il tempo di swipe a 15 minuti al giorno; creare un profilo che ci rappresenti davvero: meglio scoraggiare alcune persone che cercare di piacere a chiunque.

Il nuovo codice del desiderio

Le app di incontri sono solo uno dei modi per conoscere persone. «Sa perché l’estate è il momento in cui nascono nuovi amori? Perché si cambia posto, si esce dalla propria zona di comfort e ci si apre agli altri», dice Laura Pigozzi, psicoanalista, psicologa clinica e giuridica, autrice di Troppa famiglia fa male (Bur). «A patto che non si parta con il solito gruppo di amici, a giocare a carte… Anche se, devo dire, i tornei di burraco sono diventati dei grandi ponti verso nuovi rapporti». Se far sapere ai vostri amici che siete pronti a incontrare altri non ha funzionato, e avete già sperimentato tutte le attività che le vostre schiene possono sopportare, è probabile che finirete a chattare con qualcuno. E i passi falsi sono lì. Il più comune? «All’inizio ci si pone come se si stesse affrontando un colloquio di lavoro», spiega Pavitt, «facendo domande pratiche a raffica invece di essere davvero presenti con l’altro». Neanche Pigozzi è contro il «virtuale», che «può diventare il nuovo “simbolico”, se usato bene. Bisogna metterci la testa, la chat non è un luogo privato, ma un ambito pubblico, per quanto immateriale: sembra che non ci sia uno schermo, ma in realtà c’è un intermediario, e non è un male. Come in un incontro reale, al bar, dove valutiamo come l’altro si rivolge al cameriere, come parla, come usa le mani, come si veste, in chat possiamo valutare una serie di espressioni». Prima di arrivare alla conversazione via smartphone Pigozzi raccomanda un lavoro propedeutico: «È necessario elaborare il lutto della relazione, aver capito che cos’è che non è andato e sapere un po’ di più chi si è». In particolare, «se parliamo di donne, molte hanno il timore del corpo cambiato, a volte il desiderio è un po’ bloccato, invece bisogna cercare proprio di abitare quello che chiamo il nuovo codice del desiderio.Dobbiamo sapere di essere un’altra persona: abbiamo un’identità diversa, un altro corpo, e dobbiamo cercare di chiarirci chi siamo e che cosa vogliamo oggi, perché non vogliamo gli stessi partner di ieri». Se poi c’è l’incontro – non bisogna indulgere nella chat – parte la seconda osservazione: «Come sta seduto, se guarda le altre donne, se alla cassa ha una titubanza…». Altra cosa utile è «cercare di mentalizzare gli inciampi, le cose che non ci suonano, perché nei primi incontri tendiamo a dimenticare quello che non ci torna, davanti a un bel paio di occhi verdi». I social, insomma, non sono il male: «Ho visto persone avere delle lunghe relazioni, sposarsi, fare figli: è un altro spazio sociale, in cui puoi incontrare qualcuno che non è del tuo giro, che ti sollecita cose che non avresti mai pensato prima, che cambia la tua idea di romanticismo. Che poi è la vera scommessa dell’amore».

Le trappole dell’algoritmo

«Le app di dating le ho provate tutte e per anni», racconta Michele. «C’è la donna “Tamagotchi” che vuole solo il buongiorno, la buonanotte, i cuoricini. La incontri, però poi la relazione rimane sulla chat, perché ha bisogno di attenzioni costanti. Poi c’è l’insicura, che dopo il primo appuntamento ti chiede solo se ti è piaciuta, in cerca di conferme. E poi ci sono quelle che si fanno avvicinare, con cui magari si passa la soglia del contatto fisico, ma poi si ritraggono dicendo che non si sentono pronte, invece di dire in faccia che non gli piaci abbastanza». Non aiuta il fatto di poter scegliere infiniti partner, c’è sempre un «match» migliore. «Alcuni pazienti riferiscono di continuare a controllare l’app, cioè non investono davvero nella relazione iniziata, perché l’algoritmo continua a chiamarti», dice Pigozzi. L’altra controindicazione, per Michele, è l’intimità illusoria. «Con uno schermo di mezzo è più facile avvicinarsi ed essere intimi, anche alla prima chat. Ma la vera intimità si raggiunge quando c’è il corpo, quando ci si guarda negli occhi, ci si annusa, ci si tocca».

Scopri cosa è cringe e cosa no

All’intimità fisica non passano quasi mai invece gli adolescenti, come spiega la seconda stagione del podcast Boomer si nasce, appena uscita, realizzata da Trentino Film Commission ed Educa Immagine. Utilissimo per capire come oggi i nativi digitali utilizzino i social per flirtare, e dare delle dritte a genitori e adulti in generale su «come si fa». Secondo Luca Ferrario, ideatore del podcast, ci sono alcune cose che «limitano» l’aiuto che la Gen Z può dare ai cuori solitari più boomer. Innanzitutto «non vanno sulle app di dating, ma iniziano a flirtare dalle storie di Instagram, poi chattano su WhatsApp in privato o su gruppi. Alcuni proseguono così per mesi, facendo anche molto sexting, per poi restare delusi dall’incontro dal vivo, perché ci si sente in un bluff». Tuttavia, avere un giovane in casa a cui chiedere consiglio è sempre utile, soprattutto dopo l’approccio, non solo per evitare emoji cringe, ma per gestire la relazione tra persone e account. «Come coppia bisogna trovare un accordo nel raccontarsi online: posso postare le nostre foto insieme? Posso taggarti? Puoi mettere “mi piace” alle foto di altri? Devo cancellare dal feed le vecchie foto con l’ex? Mi dai la password del tuo smartphone? Condividiamo la posizione?». E se per un boomer questi gesti che minano la privacy sono impensabili, per i ragazzi è materia quotidiana. «Del resto noi adulti li abbiamo abituati a geolocalizzarli», commenta Pigozzi. «Dopo settimane di scambi con un uomo più giovane, è scomparso, mi ha fatto unfollow, e non è più apparso sui social», racconta Francesca. «Solo grazie a mia figlia sono riuscita a capire che era un finto account. La loro generazione è più esperta, sanno a priori che nessuno appare come è davvero sui social. Mi ha fatto notare tutti i segnali che indicavano il profilo fake, dal numero dei follower basso (diceva che non amava i social) alle foto sgranate, ai 3 o 4 post pubblicati tutti in un giorno, ai blocchi. Secondo mia figlia ho flirtato per settimane con un adolescente».

Provato con l’intelligenza artificiale?

«Ti accompagno passo dopo passo per imparare a flirtare online, in modo autentico, sicuro e adatto alla tua età», ti dice ChatGpt se le chiedi di darti dei consigli su come ritrovare l’amore. «Non serve buttarsi su TikTok: ci sono spazi più adatti», chiarisce subito. Per poi citare una serie di app di dating, ma anche suggerire di controllare spesso i commenti, ai propri post, su Instagram, da cui «nascono molti flirt». I primi messaggi per rompere il ghiaccio sono delicati, mai buttare lì un «Ciao, come va?», troppo banale, meglio un dettaglio di una foto su cui scherzare, senza offendere ovviamente. L’immagine del profilo deve essere recente, non ritoccata e non troppo buia, mentre, per quanto riguarda i contenuti, meglio foto non troppo sexy, ma «seducenti con classe». Poi la conversazione dovrebbe svolgersi leggera e ironica, se si vuole. L’intelligenza artificiale chiede: «Se vuoi, posso aiutarti a scrivere il tuo primo messaggio, creare un profilo accattivante o analizzare una conversazione che hai già iniziato. Vuoi fare una prova? Hai già scritto a qualcuno ma non sai come continuare o interpretare le risposte? Puoi incollarmi la chat (senza dettagli personali) e vediamo insieme come procedere». Ora: fatelo pure, ma ricordate una cosa. Probabilmente, dall’altra parte, c’è un’altra ChatGpt, pronta a rispondere «nel modo giusto».

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