Società

Susanna Tamaro: «Sono stata una bambina vittima di bullismo, ho vissuto la sofferenza. Oggi ci nutriamo di spazzatura, di immagini dove il criminale vince. Dobbiamo ripartire dall’educazione»

Susanna Tamaro ci dice di non aver dubbi: «Se mi chiedessero di scegliere: vuoi essere Marcel Proust o Hans Christian Andersen? Io direi Andersen. Perché Proust ha sicuramente venduto tante copie ma Andersen con le sue fiabe ha salvato la vita di tanti bambini. Nelle sue parole, la portata di salvezza è maggiore». Dal 1989, anno dell’esordio letterario con il libro La testa fra le nuvole, Susanna Tamaro ha spaziato fra romanzi e racconti molto diversi fra loro. È autrice di uno dei più grandi successi della letteratura: Va’ dove ti porta il cuore dalla sua pubblicazione, avvenuta nel 1994, ha venduto 16 milioni di copie in 45 Paesi. Eppure, ci dice, la letteratura per i più giovani occupa per lei un posto speciale. È pensato per i ragazzi è l’ultimo libro, La strada che ci porta a casa, con le illustrazioni di Lida Ziruffo, pubblicato a novembre da Piemme nella collana Il battello a vapore, seguito di Tutti abbiamo una stella, uscito lo scorso anno. Il protagonista delle due storie è un bambino di nome Sam: nella prima avventura, dopo essere stato abbandonato dai genitori in autogrill, è costretto a intraprendere un viaggio pieno di magici incontri. Questa volta scoprirà alcune verità sul suo passato, ma per poter arrivare alla verità dovrà armarsi di coraggio e superare le sue più grandi paure.vCome molte storie scritte per ragazzi, questo libro parla anche agli adulti che vogliono ascoltare. «Scrivere per i bambini è molto più difficile che farlo per i grandi. Bisogna saper mescolare bene gli ingredienti: fantasia, ironia, cattiveria».

Per i giovani, i libri hanno ancora senso?
«Penso che quel che leggi da bambino resta per sempre, ti forma, dà i modelli da cui trarre ispirazione. Oggi più che mai i ragazzi ne hanno bisogno: gli orchi esistono ancora, magari non sono pelosi e con un occhio solo. Il mondo è pieno di pericoli. Nel libro Il cerchio magico, del 1995, un mostro prendeva il potere attraverso gli schermi della televisione. Il suo motto era: “Un mondo pulito e obbediente: pancia piena e in testa niente”. Con i libri per ragazzi si rischia di diventare profetici».

Avrà letto della rilevazione Ocse, i dati dicono che capiamo poco di quello che leggiamo. È scoraggiante per chi fa lo scrittore?
«Sì, fra un po’ i libri saranno fatti dall’intelligenza artificiale, anzi forse già lo sono. Gli scrittori stanno diventando inutili, è la fine di un mondo. Però penso che tra i giovani nascerà il bisogno di parole vere, attraverso le quali conoscere la realtà: allora sarà una rinascita. Mi sembra che oggi siamo sommersi dall’intrattenimento, dalle distrazioni, dallo svago. Però un libro è qualcosa che serve anche a riempire un vuoto dell’anima, nutre per tutta la vita. Spero molto nei ragazzi. C’è da fare un bel lavoro nelle scuole, bisogna tornare all’alfabetizzazione».

Nella storia, Sam deve imparare cose che non sa fare. I giovani cosa dovrebbero imparare?
«Per esempio a scrivere a mano. Essendo anche maestra elementare, è una mia battaglia: tornare a scrivere a mano. Io stessa scrivo a mano i libri. Ho iniziato a usare il computer negli anni Novanta e all’inizio è stato fantastico. Però pian piano il computer ha cominciato a divorare i miei spazi: sostituiva le parole che non conosceva, metteva sottolineature in rosso. Bloccava il mio flusso creativo. Allora circa 7 anni fa l’ho messo da parte e ho ripreso a scrivere a mano, con grande gioia: mi stanco di meno e la mano segue il flusso della parola, come quando si suona il pianoforte».

Ha l’impressione che non sappiamo più fare le cose con le nostre mani e con il corpo? Sam nel libro si allena anche fisicamente.
«Io pratico le arti marziali da 40 anni e mi sono convinta che la riappropriazione del corpo è fondamentale anche per l’intelligenza, per il cervello. Purtroppo i giovani non hanno più fisicità, stanno quasi sempre seduti, immobili. Torniamo a usare i sensi. Senza di essi si diventa manovrabili, non si conosce il mondo, non si sa dove siamo. Chi è padrone dei sensi anche se incontra ciò che lo spaventa sa affrontarlo. Tornare nella natura ci dà la base reale della nostra vita. Ci siamo evoluti nella natura e il distacco da essa è traumatico, porta alla disperazione, abbiamo bisogno del colore verde, del rumore delle foglie mosse dal vento. Anche se tutte queste cose presuppongono che si sappia vederle e sentirle: è inutile stare in un posto magnifico tenendo gli occhi incollati allo schermo del cellulare».

Lei vive nella natura?
«Vivo in campagna da 35 anni ormai, pur essendo nata e cresciuta in città, a Trieste. Sono una persona contemplativa e la natura offre stimoli di riflessione. E poi la campagna ti dà un ritmo: se hai animali e piante di cui prenderti cura, non puoi dire “oggi non lo faccio”. Mi piace anche andare in vacanza in campeggio. Mi diverte molto vedere i bambini: all’inizio sono quasi impauriti poi però cominciano a fare i giochi che facevo anch’io. Nella natura si torna subito liberi».

Tante volte a fare paura ai più giovani sono i loro coetanei. Lei ha mai avuto paura?
«Sì, sono stata una bambina paurosa, ho vissuto la sofferenza. Ho una sindrome autistica ma quando ero piccola io non si aveva una grande conoscenza di queste cose. Ho iniziato terapie a base di farmaci a 6-7 anni. Sono stata anche vittima di bullismo. Con il tempo ho dovuto intraprendere un percorso di conquista di me stessa. Ho cominciato a studiare le arti marziali. Come il bambino del romanzo, ho preso coraggio. I più sensibili sono perseguitati dai più violenti, è così che avviene nelle società primitive: i bulli si uniscono in gruppo per reprimere il diverso».

Deve per forza andare così?
«Siamo nutriti di spazzatura, di immagini dove il criminale è sempre il più forte che alla fine vince. Inoltre nessuno sembra più avere il ruolo di chi dice basta. In altri Paesi si sta pensando di vietare l’uso dei social network per i giovani. Bisogna tener presente che il cervello dei più piccoli è una spugna che assorbe in maniera acritica, se gli si propone solo violenza, violenta sarà la sua reazione di fronte a ciò che non conosce e non sa affrontare. Anche i modelli femminili che si propongono, spesso sono soltanto seduttivi: le bambine vengono condizionate dall’apparire. Perché non riportiamo le virtù nel discorso sociale? Perché non si propongono modelli capaci di suscitare ammirazione, ispirazione? Io credo che si possa ripartire dall’educazione, dai principi di base. I ragazzi hanno bisogno che gli si indichi una strada, poi possono scegliere la loro, possono cambiarla. Ma chi vive in un caos indistinto non può che mettere in atto comportamenti autodistruttivi che negano la natura umana».

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