sul luogo del delitto anche il “biondo” di Casalotti
Roma, 7 agosto 2019. Sono quasi le 19 e il sole scivola lento sulle rovine del Parco degli Acquedotti. Un uomo è seduto su una panchina di via Lemonia, apparentemente tranquillo, come tanti frequentatori del parco.
Ma quell’uomo è Fabrizio Piscitelli, noto come Diabolik, ex capo ultrà degli Irriducibili della Lazio, e tra pochi minuti sarà freddato con un colpo alla nuca. Un’esecuzione perfetta, silenziosa, in pieno stile mafioso.
A sei anni esatti da quell’omicidio che scosse Roma e mise a nudo i legami tra curva, droga e criminalità organizzata, gli inquirenti tornano a puntare i riflettori sulla scena del delitto. E lo fanno con prove inedite e ipotesi esplosive: sul luogo del delitto, c’era anche Leandro Bennato, il boss di Casalotti.
Un nuovo sospetto: il “biondo” sulla scena del crimine
La Procura di Roma, attraverso i sostituti Francesco Cascini, Rita Ceraso e Mario Palazzi, ha depositato un ricorso in Corte d’Assise d’Appello contro la sentenza che ha condannato all’ergastolo l’esecutore materiale, l’argentino Raul Esteban Calderon, alias Gustavo Alejandro Musumeci.
L’obiettivo? Dimostrare che l’omicidio non è stato un episodio isolato, ma parte di una strategia criminale ad ampio raggio. E che il metodo mafioso, inizialmente escluso dal giudice, c’era eccome.
Secondo la ricostruzione degli investigatori, quella sera Bennato non era lontano. Anzi: gli spostamenti tracciati dal suo telefono cellulare lo collocano esattamente nella zona del parco tra le 18:30 e le 18:47, minuti cruciali in cui Diabolik fu ucciso. La cella agganciata? Quella di viale Spartaco, a pochissimi metri dalla scena del crimine.
Il “biondo”, ritenuto braccio destro di Giuseppe Molisso, uomo di fiducia di Michele Senese (boss storico della Camorra romana), si sarebbe mosso da casa sua a Ladispoli fino alla zona di Casal del Marmo, per poi recarsi ben due volte a casa di Calderon e infine spostarsi verso il Parco degli Acquedotti. Una presenza difficile da ignorare.
Chi c’era davvero dietro al colpo?
Resta ancora un mistero il ruolo preciso di Bennato: era lui a guidare la moto che ha accompagnato e portato via l’esecutore? Oppure controllava la scena da lontano, garantendo la riuscita del piano? La Procura non esclude nessuna ipotesi e lo ha già iscritto nel registro degli indagati come presunto mandante dell’omicidio, insieme a Molisso e ad Alessandro Capriotti, l’uomo che avrebbe organizzato il fatale appuntamento con Diabolik.
Intercettazioni inquietanti e nuovi scenari
Il ricorso della Procura è supportato da intercettazioni ambientali che aprono scenari ancora più oscuri. Come quella del 2 maggio 2019, in cui si parla dei rapporti tra la ‘Ndrangheta e i Senese, o quella dell’8 luglio, dove si fa riferimento a un ordigno esploso davanti alla sede degli Irriducibili: un chiaro avvertimento per “mettere in riga Piscitelli”, colpevole di essersi mostrato troppo autonomo nei traffici di droga.
Ma è una conversazione del 4 settembre 2019 a lasciare poco spazio ai dubbi. Si parla esplicitamente dell’omicidio come di una “sanzione”, una punizione per chi non rispettava i patti economici con i clan. L’ennesimo segnale che dietro la morte di Diabolik non ci fu un regolamento di conti da stadio, ma una vera e propria esecuzione mafiosa.
Un’aiuola e il silenzio
Oggi, in via Lemonia, un’aiuola con qualche alberello e fiori lasciati dagli amici ricorda Fabrizio Piscitelli. Un tributo silenzioso a un uomo cresciuto nel cuore del Tuscolano, capace di affascinare e dividere, ma anche di attirare su di sé l’interesse — e l’ira — dei signori della droga.
La giustizia, intanto, continua a scavare. Sei anni dopo, la verità sul delitto Diabolik è ancora in movimento. Ma una cosa è certa: quella panchina non è stata scelta a caso, e chi ha premuto il grilletto, non era solo.
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