Marche

«Sui dazi non si molla, al 10% o diventano insostenibili»

ANCONA La Mole Vanvitelliana come una grande cassa di risonanza pentagonale per la carica suonata dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sul fronte dei dazi. Intervistato in collegamento dal direttore del Corriere Giancarlo Laurenzi per i 165 anni del giornale, il titolare del dicastero ha subito messo le cose in chiaro, lanciando un messaggio che dal porto di Ancona – storico crocevia di merci e persone – ha trovato agevolmente la sua strada verso Bruxelles e Washington.

Il monito

«L’Europa non deve mollare di un centimetro» ha detto, non lesinando poi una stoccata. «Finora abbiamo giocato di rincorsa, un po’ in difesa» ha sottolineato Giorgetti.

Mentre il metodo usato da Donald Trump nella negoziazione «è ruvido». «Arrivare a un ragionevole accordo è troppo importante, bisogna negoziare senza stancarsi mai» ha rimarcato il ministro, incalzato dal direttore Laurenzi. Per ora, però, la certezza è una soltanto. Quella dei dazi al 30% che Trump ha minacciato di applicare se prima non si troverà un accordo. Ecco, l’accordo. La cifra in ballo fino a pochi giorni fa era quella del 10%. Dazi al 10% che potevano «essere un risultato ragionevole».

Ma, purtroppo, il verbo al passato è un imperativo. «Credo che questa cifra, oggi, non sia esattamente nella disponibilità dell’amministrazione Trump» ha avvertito Giorgetti. Aprendo quindi a nuovi scenari negoziativi. Pur con alcuni paletti. «Non si può andare molto lontano da quella cifra, altrimenti rischia di diventare insostenibile» ha messo subito in chiaro il titolare del dicastero dell’Economia.

Le conseguenze

Proseguendo poi con una frase alquanto sibillina, che sa più di avvertimento verso gli statunitensi che di promemoria per gli incaricati d’affari europei. «Se ci si dovesse distanziare troppo da quel numero, allora diventerebbe impossibile trovare un compromesso e i mercati si perderebbero» è stata la sua conclusione. Lo scenario peggiore, nel quale non ci sarebbero né vinti, né vincitori. Non si salverebbero neanche le Marche, che con i loro 220 milioni di export verso gli States nel primo trimestre del 2025, rischiano una bella batosta con i dazi al 30% paventati dal tycoon americano. La diplomazia, insomma, deve fare il suo corso. Non c’è un fronte di trattativa, invece, sul veto del governo Meloni all’acquisizione di Unicredit da parte della francese Bpm. L’Unione Europea aveva scritto a Roma lamentando l’uso del golden power, lo strumento che consente all’esecutivo di bloccare operazioni economiche che potrebbero creare un pregiudizio alla sicurezza nazionale. «Ma la sicurezza economica è parte della sicurezza nazionale» ha replicato Giorgetti.

Il precedente

Il ministro ha ricordato come in nome della sicurezza nazionale, «abbiamo adottato 18 pacchetti di sanzioni contro la Russia e impediamo agli imprenditori del calzaturiero di esportare i loro prodotti di lusso». Dunque sì, «è acclarato come la sicurezza economica sia un fattore di sicurezza nazionale».

Parole dure anche sul piano di riarmo: «Per chi fa politica, è importante che questo processo non vada a sacrificare spese sociali, come la sanità». La chiacchierata col direttore Laurenzi si è chiusa col tema delle infrastrutture. E, ovviamente, il gap strutturale che da tempo attanaglia le Marche. Giorgetti si è limitato a fare un plauso all’azione di governo del presidente uscente Acquaroli, ricordando però come «questo problema infrastrutturale non ha mai limitato la capacità degli imprenditori marchigiani». Ma si può sempre migliorare.




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