Suede – Antidepressants | Indie For Bunnies
Questo è un disco importante.
Per il percorso dei Suede, per il momento storico, per la scena internazionale. Dopo l’eccellente “Autofiction“, la band di Brett Anderson continua a incedere con passo deciso, come una vecchia elegante signora che rifugge dal decadimento, attraversando i fantasmi del britpop e trascendendo verso un assai credibile pop-rock venato di wave gotica. Ora ditemi: quanti gruppi, dopo decenni, riescono ancora a mantenere ispirazione e classe, inanellando una sequenza di dischi così belli, uno dietro l’altro? Certo, qui non troverete rivoluzioni né nuove avanguardie. Ma se cercate canzoni belle, potenti, emozionanti, i Suede restano tra i primi della classe.
Oggi i cinque sono molto più di nicchia rispetto ai fasti degli anni Novanta. Parlando di “britpop”, chiaramente siamo lontani anni luce dai clamori post-reunion degli Oasis: ma lì c’è un significato che potremmo definire antropologico, che dobbiamo in parte anche accettare e comprendere. Tuttavia, sul lato prettamente artistico, non c’è minimamente paragone. Qui non c’è celebrazione del passato e dell’adolescenza. Qui c’è una band viva dai contorni abbacinanti.
Allargando lo sguardo, un’altra considerazione da fare è che, sebbene il fenomeno del britpop (categoria giornalistica un po’ limitante) si sia nutrito spesso di vacue fanfare mediatiche, c’è finalmente da riconoscere la sua importanza nella storia della musica. Si pensi ad altri ritorni, come quelli avvenuti per i Pulp (alla loro seconda rinascita, invero) o i Blur, band innegabilmente di sostanza allora come oggi.

Un disco importante, dicevamo. Uno di quelli che emergono nel caos delle uscite mensili e che rivedremo di certo nelle classifiche di fine anno. Ma qui c’è un progetto ancora più a fuoco. I Suede sanno mantenere identità e coerenza, scurendo ulteriormente il proprio suono, in bilico tra robustezza e fragilità, malinconia e crudezza. Stratificano ombre, fendono con lampi di luce nera, senza mai cadere né in nostalgie facili né in giovanilismi posticci. È un equilibrio coraggioso, che sigla una delle raccolte di inediti più riuscite di questa seconda giovinezza.
Si parte con un trittico solidissimo e catartico: “Disintegrate”, “Dancing With The Europeans” e “Antidepressants” sono cavalcate frontali, da respirare a pieni polmoni e a cuore spalancato. Pseudo-inni perfetti per il nostro presente, sospesi tra crudezza realista e tensione eroica, intrisi di una rivalsa post-bellica che sa farsi speranza, pur nella consapevolezza delle alienazioni che l’iperconnessione genera: distanze, incomprensioni, barriere.
“Sweet Kid” gioca su trame potenti e venate di glam, una malinconica ode alla giovinezza – priva però di patetismi. “The Sound and The Summer” è il pezzo più darkwave del lotto, nera come il cielo durante un blackout post-atomico, squarciata dai fulgori accecanti del refrain. “Somewhere Between an Atom and A Star” (titolo magnifico), cerca una via cosmica di redenzione attraverso un incedere permeato di lacrimevole solennità.
Da un torbido firmamento notturno si ricade sull’asfalto urbano con “Broken Music For Broken People”, “Criminal Ways” e “Trance State”: altre cavalcate scritte benissimo che uniscono velluto e ruggine, possanza e fragilità. “June Rain” è una ballata sinceramente poetica, lontana da sterili maledettismi, che sa di luci artificiali, di soffocante e ambigua pesantezza cittadina, e di piovigginosi, struggenti addii. La tracklist poteva chiudersi qui. E invece i Suede salutano con la fatalista “Life Is Endless, Life Is a Moment”. Il ritmo rallenta, spigoli e aculei si dissolvono nella tenebra, una coltre scura dilaga e avvolge definitivamente il cuore: sarà resurrezione? Sarà oscurità eterna? Sarà che la redenzione ci attende nel buio? Dopo tutto questo dispiego di fisicità disperata, di carne sfregiata e tormentata (vedi anche la copertina del disco), ci si raccoglie nel segno di una spiritualità “dark”, riconoscendo l’effimero ma anche l’importanza quasi sacrale dell’incorporeo. E così la vita assume contorni sfumati, “formless as a cloud, weightless as a sound“: l’eternità si rifugia in un istante, e l’istante, a sua volta, si fa eterno.
Segnaliamo anche ben tre bonus track nell’edizione limitata del disco.
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